Nando De Napoli, dieci minuti

Nando De Napoli, dieci minuti
21 Agosto 2014 admin

Introduzione: gli inni nazionali

Durante l’esecuzione dell’inno nazionale prima di ItaliaAustria, intorno alle ore 21 del 9 giugno 1990, il ventiseienne avellinese Nando De Napoli – che ha appena vinto il suo secondo scudetto in carriera e vanta già 357 minuti da titolare in un mondiale – si trova tra Vialli e Carnevale, il terzo a partire da Zenga. Si sente un veterano, forse intuisce la presenza della telecamera, fatto sta che non ha alcuna paura di scandire con vigore in mondovisione quello scampolo di inno che gli concede l’inquadratura: “…s’è cinta la testa”. Sembra che stia urlando. Bisogna anche dire che gli unici ad aprire la bocca durante l’inno sono Zenga (forte, sicuro di sé), Vialli (circospetto, timido, forse stonato), Nando, appunto, e Carnevale, ma evidentemente a bassa voce, farfugliando. Dal disinteresse inanimato di Riccardo Ferri, fino al mutismo così profondamente umano di capitan Bergomi, al terzo mundial, nessuno ostenta alcuna reazione. Una breve pausa, durante l’intermezzo della marcetta: l’inquadratura spazia sulle tribune dell’Olimpico, ruotando su sé stessa, poi torna a concentrarsi sulla squadra di Vicini e, quando riprende il testo di Mameli, la sensazione è che nulla sia cambiato rispetto a qualche secondo prima. Le bocche sono ancora cucite. In realtà, a guardar meglio, anche Carnevale si è zittito del tutto. Ma Nando De Napoli non delude, continua a cantare, lo ha fatto per tutto il tempo in cui non è stato inquadrato.

A un secondo passaggio della telecamera, però, si apprezza meglio un dettaglio. Forse per l’emozione che spesso disorienta il tifoso, infatti, nella prima inquadratura non si era osservata con precisione – tutt’al più se n’è avuta una leggera percezione – la posizione delle mani di De Napoli. In un impeto di amicizia e intimità, ecco nitidamente la destra di Nando intrecciata con forza a quella delicata di Gianluca Vialli, che accetta sornione di sostenerlo nel canto. Il tutto mentre Zenga, perso nella sua ispirata e corsara solitudine, incurante di tutto ciò che accade al suo fianco e forse in generale intorno a sé, accompagna l’inno alla conclusione, il nostro numero uno, che quattro anni prima in Messico era l’ultima delle riserve, oscurato da Galli e Tancredi. Zenga, Vialli e Nando De Napoli erano i giovani che Bearzot aveva portato in Messico. Dei tre, solo Nando era il titolare. Lui che ha esordito con la maglia azzurra il giorno in cui Paolo Rossi l’ha vestita per l’ultima volta. Solo Nando può dire di essere veramente affondato, insieme alle ombre logore e pesanti dei Collovati e Tardelli a fine carriera, sotto i colpi di Platini e Stopyra, davanti ai 70mila spettatori di un altro Olimpico, quello di Mexico City, il 17 giugno 1986. Sul liberatorio “L’Italia chiamò”, la stretta tra Vialli e De Napoli si allenta all’improvviso, le mani si districano e, levate al cielo, salutano 74mila spettatori, tra i quali Giulio Andreotti, Antonio Matarrese e João Havelange. Ed ecco la cronaca: i primi dieci minuti di Nando De Napoli, a Italia ’90.

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Minuto zero

Dopo 26 secondi Nando è il primo degli azzurri ad effettuare uno scatto: il numero 18 Streiter, lanciato da Aigner, coglie alla sprovvista la difesa italiana nel corridoio destro che doveva essere presidiato da Giuseppe Bergomi. Una marcatura saltata, grazie anche al movimento senza palla dell’austriaco Toni Polster, ed ecco che De Napoli si ritrova ad infilarsi nella traiettoria tra il preciso lancio di Aigner e la corsa di Streiter. Arriva per primo e subisce la spinta vistosa dell’avversario, lasciandosi cadere sul pallone. Un distinto arbitro brasiliano premia il suo vigore atletico, concedendogli il fallo. La folla saluta l’impeto di Nando con un’ovazione. Pochi secondi dopo riconquista la mediana con una falcata tranquilla, mentre i suoi compagni Carnevale e Vialli provano a duettare con colpi di tacco nella tre-quarti avversaria. La loro velleitaria iniziativa è presto intercettata, ma l’Italia mantiene il possesso di palla e può ripartire dalla retroguardia. Franco Baresi concede a Nando l’onore di impostare la manovra offensiva. De Napoli, libero sul cerchio di centrocampo, decide di coinvolgere l’ala Donadoni, con un pacifico piatto destro, mentre partono gli “olè” del pubblico romano. De Napoli lo serve ma non lo segue, non prova nemmeno a proporsi per un ulteriore appoggio. Preferisce indietreggiare, temendo che il compagno, uno dei pochi in campo con licenza di inventare, tenti un dribbling e perda rovinosamente la palla. In effetti, Donadoni compie alcuni passetti e prova a sgusciare tra due avversari, ma dopo un accenno di accelerazione è sgambettato da Andy Herzog, in generoso ripiegamento, e precipita a terra, subendo ancora fallo. De Napoli, fuori dall’inquadratura, resta alle spalle dei protagonisti dell’azione offensiva, lasciando agire il cervello di Giannini.

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Minuto uno

Lo ritroviamo mentre presidia ancora la corsia destra della metà campo azzurra, visto che Bergomi, schierato in marcatura, deve necessariamente occuparsi dell’ingombrante Toni Polster e ha bisogno di una mano. Nando è sovrastato da un pallonetto e fa da spettatore anche alla bella chiusura dello stesso capitan Bergomi, il quale fraseggia nello stretto con Vialli, senza però la necessaria lucidità. Nell’ambito di questo disimpegno, Nando De Napoli sembra quasi voler togliersi dall’impaccio di trovarsi in quel quadrato di campo: nessuno sembra intenzionato a dargli il pallone nel bel mezzo di una selva di avversari. E lui a testa bassa, come se la cosa non lo riguardasse, se ne va corricchiando, in teoria per attirare su di sé un avversario contribuendo così a sgomberare il groviglio di uomini, in pratica per allontanarsi dalla mischia. Il fraseggio non è affar suo. Ma quando vede che il passaggio rasoterra di Bergomi, alla ricerca di un appoggio in attacco, finisce tra i piedi di un austriaco, ecco che Nando si accende. La timidezza di un attimo prima lascia il posto a una falcata avvincente e coraggiosa, nel tentativo di sradicare il pallone dai piedi del solito Aigner. La sua impresa, però, è vanificata dal bello stile con cui Aigner ne elude l’intervento, un dribbling di quelli che fanno male a Nando e a chi come lui ricopre il ruolo di rubapalloni. Uno schiaffo all’impeto. De Napoli lascia così che siano altri azzurri a fermare Aigner. Come sottolinea lo stesso Bruno Pizzul, nel commento, l’austriaco non è particolarmente veloce, ma evidentemente ha buona tecnica. Negli ultimi anni Nando si è allenato con Maradona, sa bene quanto senso dell’umorismo serva a un centrocampista come lui per capire perché la natura abbia concesso ad alcuni di saper dribblare e ad altri no. Quando Nando lo raggiunge, con pacatezza, ormai l’austriaco è a terra sotto la tutela dell’arbitro, bloccato da una leggera spintarella di Donadoni, e prima ancora dalla sua stessa lentezza.

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Minuto tre

De Napoli torna al minuto 3, ancora una volta in una diagonale di gioco che lo vede a stretto contatto con Franco Baresi. Ancora una volta libero, sempre nel cerchio di centrocampo, riceve un rasoterra semplice. Stavolta anziché cedere il pallone a Donadoni fa qualche passo sulla sua destra, superando la metà campo, fino a raggiungere quasi la linea del fallo laterale, attirandosi così un paio di avversari in blando pressing. In questo modo concede al Principe Giannini qualche metro di libertà per ragionare sul da farsi. Nando gli dà subito il pallone con un passaggio arretrato e poi accenna senza la minima convinzione una diagonale in avanti, tornando a popolare la zona centrale: non c’è alcun bisogno di spingersi troppo oltre, di osare. In questo momento la linea offensiva di Vicini è costituita da Carnevale e Vialli al centro, Donadoni a destra e Maldini a sinistra, ma non troppo larghi. Dietro di loro Giannini, di fianco a lui Ancelotti. Se le cose si mettono proprio male, dietro a tutti c’è De Napoli.

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Minuto quattro

Al minuto quattro Nando è l’intelligente comprimario di una splendida azione azzurra: Donadoni sceglie di retrocedere nella propria metà campo, da terzino alto, per raccogliere un pallone giocabile da Bergomi. Nando capisce che la corsia offensiva è libera e può inserirsi. Gliel’ha lasciata Donadoni. Nando sa benissimo che nessuno lo lancerà sulla fascia per davvero, ma insomma Donadoni gli chiede di uscire dal gioco. Ecco infatti che Nando accelera come se fosse il contropiede decisivo, e il suo vigore preoccupa ben due austriaci che ripiegano goffamente sulla traiettoria della sua corsa. Così Donadoni ha spazio sufficiente per imbeccare Vialli con un bel traversone morbido. L’attaccante della Samp vede lo scatto di Carnevale e indovina un assist delicato sul quale la difesa austriaca, sbilanciata anche dal buco creato dallo scatto di Nando, reagisce con sorpresa e lentezza. Il coloratissimo Lindenberger vince la prima sfida della serata con l’attacco azzurro ribattendo in uscita il tiro non troppo convincente di Carnevale, solo davanti al portiere. Una conclusione bassa e prevedibile, debole come la sua prestazione canora durante l’inno. Nel calcio d’angolo che segue De Napoli fa ancora da spalla a Donadoni, avvicinandosi per la battuta. Il triangolo corto tra i due concede a Donadoni l’ebbrezza del primo, brillante dribbling della partita. Il cross dell’erede di Bruno Conti viene però ribattuto in fallo laterale. E chi si precipita a raccogliere il pallone con le mani? Naturalmente Nando.

L’unico che gli si avvicina è ancora Donadoni. Nando lo serve, ma il pressing austriaco è snervante, per cui Donadoni è costretto a liberarsene con eleganza in un fazzoletto. Il più vicino è appunto De Napoli, che riceve e ha qualche istante di tempo per decidere cosa fare. Finalmente tocca a lui. A questo punto ha la prima occasione concreta di fare qualcosa. Un cross, tanto per restare sul semplice. La preparazione non è perfetta, la coordinazione è scarsa, la traiettoria certamente casuale, la palla si alza ma non abbastanza, non è un granché: è andata così, non importa. Il suo tentativo di cross viene ribattuto da Streiter, secondo De Napoli con la mano. Il carismatico Herzog accorre in aiuto di Streiter e reclama l’involontarietà. De Napoli, convinto invece del fallo, forse anche innervosito dall’esito deludente del suo gesto tecnico, spende il suo ruolo da veterano e arriva ad urlare anche qualcosa contro il guardalinee. L’arbitro, accorso con falcata discreta, gli dà ancora ragione e concede all’Italia, all’Italia intera, il fallo voluto da Nando. Ed ecco che nello spazio di un istante, mentre i tifosi esultano per la decisione arbitrale e Donadoni si prepara a calciare la punizione, De Napoli sparisce dall’inquadratura, se ne scorge solo un angolino di pantaloncino che arretra e si defila. Forse ha urlato qualcosa di troppo al guardalinee, forse è il suo solito desiderio di uscire dalle zone calde del campo, forse torna a fare il suo lavoro, dietro quelli bravi e pochi metri davanti al silenziosissimo trio Bergomi, Baresi, Ferri. Fatto sta che essere lì non è affar suo.

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Minuto cinque

Sugli sviluppi del calcio di punizione battuto da Donadoni, Toni Polster è saltato più in alto di tutti, ma la sua respinta rimbalza tra i piedi di Franco Baresi che con movimenti nervosi, a gambe e braccia larghe, sorprende tutti e cambia gioco da sinistra a destra, con una precisione incantevole, proprio sui piedi di Donadoni, il quale ricambia il pregevole gesto tecnico con un dribbling classico da ala, a rientrare, in attesa dello sgambetto. Che arriva, puntualmente, con conseguente fallo. Peccato, perché Nando De Napoli è tornato nelle vicinanze di Donadoni per provare a inserirsi: tutto inutile, l’azione è ferma. Donadoni però si è fatto male. L’entrata di Herzog è stata scomposta, isterica. De Napoli può così interpretare in modo mirabile la parte dell’amico fedele: continua a sbracciarsi, scuotendo la chioma nera, mentre i medici entrano in campo per assistere il suo compagno dolorante. Allarga le braccia continuamente, Nando, come se non si capacitasse della crudeltà dell’austriaco. Come si può fare del male in questo modo, così, senza alcun motivo? Con la testa bassa, gli occhi fissi sul riccioluto e fantasioso compagno a terra, Nando non si dà pace. Già che c’è raccoglie una bottiglietta d’acqua da terra: tutto questo nervosismo gli ha messo sete. Come spesso accade, tutto si risolve velocemente: Herzog ammonito, Donadoni in piedi, De Napoli dissetato. Pronti a calciare la punizione. Sul pallone va proprio Nando, e la cosa stupisce non poco. Che farà? La scaglierà al centro? Proverà il tiro? No, naturalmente la passa al vicino Donadoni, accostandoglisi timidamente come per proporgli di chiudere il triangolo.

Ma Donadoni non ci pensa nemmeno a ridargliela, anzi, a dire il vero sembrerebbe che per un attimo ci abbia pensato, ma immediatamente cambia idea: mentre parte l’ennesimo cross tagliato di Donadoni verso il centro dell’area, Nando De Napoli abbandona lentamente la zona del calcio di punizione, corricchiando centralmente verso l’area di rigore. Si potrebbe fingere di pensare che la sua aria sia furba, che il suo obiettivo sia quello di approfittare di qualche eventuale rimpallo, ma in realtà nella sua falcata c’è il vuoto incerto del soldato che avanza senza una meta precisa, in attesa di nuovi ordini, sperando che in qualche modo la palla entri nella porta avversaria o che schizzi via il più lontano possibile. E che non tocchi mai a lui gestirla. A riprova di ciò, Nando passa dalla battuta del calcio di punizione a un inesorabile e improvviso ripiegamento difensivo: eccolo infatti appena quattordici secondi dopo nei panni di terzino, che riceve da Bergomi un rasoterra orizzontale nella tre quarti azzurra, al riparo da pressing indiscreti. Nemmeno il tempo di fare un passo e subito Donadoni, sempre lui, gli chiede il pallone. Nando, fedele, glielo lascia e poi scappa sulla corsia di destra, ripetendo lo schema di un minuto prima. Stavolta però gli austriaci non gli danno troppa attenzione e ci vuole tutta la tecnica di Donadoni e Giannini per difendere il pallone dal veleno avversario. E mentre Ancelotti prova a inventare un traversone per un Maldini lanciato in profondità sulla fascia sinistra, nella parte alta dello schermo, si riconosce un ragazzo preoccupato di aver corso qualche rischio di troppo: è Nando che torna indietro, ad ampie falcate.

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Minuto otto

All’ottavo Nando, con coraggio, assaggia per la prima volta l’area di rigore avversaria. Si parte dalla metà campo: De Napoli si allarga a destra, lasciando il pallino del gioco a Donadoni che invece si accentra, respira qualche metro di libertà e fa partire un traversone un po’ largo ma adatto al dinamismo di Vialli. Questi confeziona un’altra raffinatezza tecnica e sfugge a due avversari in bello stile, calciando però un cross impreciso verso l’area di rigore. Carnevale è tagliato fuori dalla traiettoria, ma dietro tutti spunta proprio De Napoli che stavolta ha portato il suo movimento fino in fondo. Il dirimpettaio Streiter gli rovina la festa, anticipandolo. Cosa avrebbe fatto? Avrebbe lasciato rimbalzare il pallone, inseguendolo fin quasi alla linea del fallo laterale, in attesa di rinforzi? O avrebbe stupito tutti con qualcosa di inatteso e di luminoso? Bisognerebbe chiederlo a Salvatore Bagni. Streiter mette fine a ogni ipotesi, anticipa Nando e gli regala la possibilità di fare quello che più ama: lanciarsi all’inseguimento del pallone nella terra di nessuno. Ma ci arriva prima Giannini. Nell’azione offensiva che segue, De Napoli resta dietro, a rifiatare. Troppe emozioni.

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Minuto dieci

De Napoli insiste. L’Italia gioca con il pallone per terra, con velocità e stile. Gli austriaci fanno muro, i centrocampisti dai piedi buoni sono marcatissimi, De Napoli non prova nemmeno a proporsi come appoggio ai difensori e si nasconde nella tre quarti avversaria. Per arrivare alla superiorità numerica deve uscire dalla retroguardia Franco Baresi, quel colpo inatteso e luminoso che spariglia le carte. Franco, che quattro anni prima era stato frainteso e scaricato da Bearzot, varca la metà campo in tutta fretta, con l’aria di chi deve far presto perché poi deve andare a lavorare, sorprende gli austriaci e si fa dare il pallone da f. Certo, in un attimo sono tutti su di lui, Baresi non può fare miracoli, ma senza complicarsi troppo la vita vede davanti a sé un altro senza fronzoli come lui, De Napoli. Nando, spalle alla porta da trequartista puro, coglie il senso del gioco dei suoi compagni e decide di darla di prima, un po’ per evitare un imbarazzante possesso palla prolungato, un po’ per mancanza di alternative, un po’ perché è una di quelle giocate che pubblico e allenatore apprezzano.

In avvitamento, De Napoli compie la prima prodezza tecnica della sua partita, un tocco verso Donadoni in posizione di esterno destro, con conseguente scatto in avanti, da incursore. Alla cieca. Donadoni, forse sorpreso dalla prontezza del compagno, tergiversa e controlla il pallone con qualche lentezza di troppo, prima di restituire il favore allo stesso De Napoli che a questo punto è il più avanzato degli azzurri. Ma il guardalinee sbandiera il fuorigioco. De Napoli impreca, contro nessuno in particolare. Ma si è meritato un’altra ovazione. In dieci minuti ha ricevuto due ovazioni dai settantaquattromila dell’Olimpico. Ma Nando ha la faccia di chi pensa che, in fondo, meno male che esiste il fuorigioco. Cosa avrebbe fatto davanti al portiere? E se avesse sbagliato tutto? E se al posto mio fosse capitato Donadoni? O Bruno Conti? O Giannini? Non avrebbero pensato tutti che sarebbe stato meglio se nello spazio si fosse lanciato Donadoni anziché me? Perché Baresi l’ha data proprio a me? Voleva umiliarmi?

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Epilogo: il portiere

Lontano, mai inquadrato nei primi dieci minuti, un portiere vestito di grigio-ufficio osserva la dinamica di gioco. La sua testa però è altrove, oltre le umiliazioni di De Napoli, i mobili riccioli di Polster e tutte le piccole vite dell’Olimpico, oltre, molto oltre Havelange e Matarrese, oltre l’Italia e il Messico, la confusione di Bearzot, il timore di Vicini, la rabbia di Tardelli, la calma del Principe Giannini, l’arroganza di Collovati, la faccia pulita del rampante Maldini. Oltre i nomi, i ruoli e le tattiche di gioco. Oltre la stessa coppa del mondo. In una dimensione luminosa, a tratti accecante, il portiere osserva sopra di sé una palla di fuoco che disegna una parabola apparentemente curva, di lentezza indecifrabile, a miglia e miglia di altezza, e che lui stesso, da solo, ha imparato a conoscere e riconoscere. Talvolta, nella sua frenetica e lussuosa quotidianità di portiere di serie A in brillante carriera, la traiettoria fa capolino dietro le nuvole ed emette, per brevi imprecisati istanti, una luce calda, attraente, che spettina e pare che sorrida ai belli, ai giovani, ai forti. La palla di fuoco è per quel portiere la promessa non di vittoria o successo, ma di ordine e di senso. Di pace. Di quella palla, che sovrasta tutti i portieri di ogni tempo, gli aveva accennato un rabbuiato Tancredi una notte, quattro anni prima, ma per quell’anziano portiere non era che un’ombra scura, il rischio della papera, la minaccia dell’umiliazione pubblica e del ricordo indelebile.

Per Walter non è così. Bisogna leggere con cura la traiettoria, la parabola prima o poi scenderà, improvvisamente, e l’unica è farsi trovare pronti. Non tutti si fanno trovare pronti, certo. Ma per i forti, i sicuri di sé, farsi trovare pronti è parte del repertorio. Un gioco da ragazzi. Italia-Austria è cominciata da dieci minuti, Nando De Napoli è in fuorigioco, ha cercato il salto nel vuoto di uno scatto in profondità, per lui così nuovo e inaccessibile. Un salto a vuoto. Walter nemmeno ci fa caso. Il fischietto dell’arbitro riecheggia lontanissimo da lui, che ha gli occhi al cielo, fissi come sempre sulla palla di fuoco che però, al decimo del primo tempo, sembra aver ricevuto uno strattone improvviso, fa anche più caldo, sì, sta scendendo. A campanile, scende su di lui ed è solo una questione di tempo e di tempi. Farsi trovare pronti, portiere. La palla brucia.