Articolo originale di Mourad Aerts per PKFoot.com
Nella tarda primavera del 1978, quattro anni prima della Mano di Dio, un calciatore argentino si ritrovò al centro delle tensioni tra Buenos Aires e Londra per ragioni politiche. “Il paese in cui sono nato era in guerra con quello che mi aveva adottato”, ricorderà in seguito. Questa è la storia di Osvaldo Ardiles, campione del mondo nel 1978 con l’Argentina e leggenda del Tottenham.
Le Falkland, Malvine per gli argentini, sono un arcipelago di poco più di 13mila km quadrati al largo delle coste argentine che ha finito per dividere due paesi e provocare oltre mille vittime, senza contare l’enorme trauma impresso nella psiche inglese e argentina. Il conflitto fu montato ad arte dalla dittatura argentina (che appena due giorni prima dell’inizio dell’ostilità era stata messa in discussione da una manifestazione pubblica) ed era stato accolto a braccia aperte dal governo britannico, che cercava un modo per nascondere i problemi sociali sotto la coltre del nazionalismo. A pagare le conseguenze di questo sanguinoso intreccio politico fu Osvaldo Ardiles, simbolo argentino del Tottenham.
Nel 1978 l’Argentina aveva vinto in casa i mondiali in condizioni definite “molto particolari” e sono spesso dimenticate alla luce del fatto che i gauchos avevano davvero una bella squadra, con Fillol tra i pali, Passarella capitano e ovviamente il magnifico Kempes in attacco. Durante il mondiale, però, gli osservatori del Tottenham si erano concentrati su questo piccoilo centrocampista centrale che portava il numero 2. Era un motorino inesauribile dotato di un piede destro che fluidificava e correggeva il gioco e non sbagliava mai un passaggio. In poche parole, un tipico centrocampista argentino. Al termine dei mondiali gli Spurs avevano ottenuto la firma di Ardiles grazie a un assegno di tutto rispetto per l’epoca, e ansieme al Pitón acquistarono anche Ricardo Villa, suo sostituto nella nazionale campione del mondo.
Il trasferimento dei due argentini fece grande scalpore in un campionato molto chiuso, distante anni luce dall’attuale Premier league. L’attesa che circondava Ardiles e Villa era simile a quella che avrebbero suscitato delle “creature venute da un altro pianeta”, come scriveva un osservatore dell’epoca. Il loro debutto, però, non fu affatto facile. “La squadra giocava all’inglese, mentre io e Ricky giocavamo alla sudamericana”, spiega Ardiles. Glenn Hoddle bene invece ricorda il primo match della stagione 78-79 a White Hart Lane, “quando tutti pensavano che il momento era arrivato, che avremmo vinto il campionato. Erano arrivati Ossie e Ricky, avremmo trionfato, ma poi perdemmo 4 a 1 in casa”.
Gli attaccanti inglesi non riuscivano a capire questi due tizi che non crossavano sistematicamente quando si avvicinavano alla linea di fondo, che passavano all’indietro per costruire il gioco. Lentamente gli argentini, aiutati dall’elegante Hoddle, riuscirono a trovare un equilibrio tra il gioco diretto e la costruzione meticolosa. Il giornalista Patrick Barclay descriveva così il gioco che si vedeva a North London: “Non è diventato un football argentino trapiantato sui campi inglesi, ma una miscela del meglio dei due”.
Nel 1981 il Tottenham e i suoi argentini si qualificarono per la storica centesima finale della Fa Cup. Avrebbero affrontato il Manchester City sotto lo sguardo della regina. Osvaldo e Ricardo erano già stati ribattezzati Ossie e Ricky dalla perfida Albione, che ne aveva fatto i suoi beniamini. Soprattutto Ossie era adorato dal pubblico inglese per il suo modo di parlare la lingua di Shakespeare con un accento che si poteva tagliare col coltello, che sarebbe stato immortalato dalla canzone registrata per accompagnare gli Spurs nella loro ricerca del Graal a Wembley. Un vero successo popolare che viene ancora intonato a White Hart Lane, in cui Ardiles ci gratifica con uno splendido “Se Cip fer Tottenham!”.
La partita tanto attesa, comunque, non andò esattamente come previsto. Il City aprì le marcature e impedì agli Spurs di fare il loro gioco. Il pareggio, arrivato su calcio piazzato, costrinse le due squadre a rigiocare la partita (le regole non prevedevano ancora i supplementari e i rigori). Il simbolo di questa finale deludente fu proprio Villa, sostituito ed estremamente insoddisfatto della sua partita. Il simbolo del replay, svoltosi ancora a Wembley, fu di nuovo Villa, ma stavolta per ragioni diametralmente opposte. L’argentino cosparse la finale del suo talento. In seguito Ardiles dirà che quello “era il giorno di Ricky”. Villa sfogò tutta la sua frustrazione segnando due gol, di cui il secondo “tipicamente argentino a Wembley”, fu eletto più tardi gol miglior gol segnato in questo stadio nel ventesimo secolo. Gli Spurs vinsero 3 a 2 grazie al capolavoro di Villa.
Dopo il successo, a White Hart Lane si sentirono spuntare le ali. Nella stagione 1981-82 sarebbero stati pretendenti al titolo, a tutti i titoli disponibili. Campionato, Fa Cup, League Cup e Coppa delle coppe. Quando si avvicinava il momento decisivo della stagione, gli Spurs c’erano. Sconfitti in finale di League Cup dal Liverpool, erano ancora ai vertici della classifica e qualificati per le semifinali di Fa Cup e Coppa delle Coppe. La stagione sembrava poter entrare nella storia. Ma nessuno aveva fatto i conti con l’altra storia, quella delle nazioni, che nell’aprile dell’82 ci mise lo zampino.
Il 2 aprile 1982 il generale Galtieri, “presidente” dell’Argentina, scatenò la guerra delle Malvine. Una mossa abbastanza popolare agli occhi dell’opinione pubblica e che aveva come obiettivo quello di calmare il malcontento nascente. Per i britannici si trattava di un attacco alla sovranità nazionale, anche se come riconosce il compositore di Ossie’s dream “la maggior parte di loro non sapeva nemmeno di possedere le Falkland”. La guerra esplose, ben orchestrata dai media opportunisti. All’indomani dell’inizio delle ostilità, il Tottenham giocò la semifinale di Coppa contro il Leicester al Villa Park. Gli Spurs vinsero la partita ma perdono il loro giocatore chiave, fischiato dai tifosi avversari ma sostenuto dai suoi tifosi con un magnifico striscione: “Potete tenervi le Malvine se ci lasciate Ossie”.
I danno, comunque, era fatto, e il piccolo argentino riconoscerà in seguito che ormai si sentiva completamente perduto. In ogni caso era stabilito da tempo che avrebbe lasciato il club per raggiungere la sua nazionale in vista del Mundial dell’82. Gli inglesi approfittarono della sua partenza per affibbiargli l’immagine del disertore. Come d’abitudine in tempo di guerra, le semplificazioni populiste uscirono dalle loro tane. Ricky restò a Londra, ma fu escluso dai convocati per la finale di Fa Cup.
Dopo l’eliminazione in semifinale di Coppa delle Coppe a opera del Barcellona e il quarto posto in campionato, solo la Fa Cup poteva ancora addolcire la delusione per l’esito della stagione. Ma per Ardiles non c’era futuro a White Hart Lane. Tormentato dai media argentini e inglesi, ogni sua dichiarazione si rivolgeva contro di lui. Traditore in Argentina, traditore in Inghilterra. Era tempo di rifugiarsi nell’esilio.
Il Mundial dell’82 fu uno smacco bruciante per l’Albiceleste, che venne subito eliminata. Quel che è peggio, durante la competizione Ardiles venne a sapere della morte di suo cugino José, ucciso nei combattimenti per quelle maledette isole. Per lui era ormai impossibile tornare a giocare in Inghilterra. Una decisione che la maggior parte dei tifosi inglesi prese abbastanza bene, comprendendo il dilemma che Ossie si trovava ad affrontare. L’argentino prese la via del Psg, in prestito per un anno con diritto di riscatto, ma l’avventura parigina si rivelò un fiasco.
Nel gennaio del 1983, finita la guerra, Ardiles tornò al Tottenham. Le cicatrici erano quasi guarite e la sua famiglia adottiva sentiva la sua mancanza. “La simpatia per Ardiles, non solo da parte dei fan del Tottenham ma di tutto il calcio inglese, non era mai stata messa in dubbio. Quando è tornato in Inghilterra c’era come un senso di riconoscenza per quello che aveva rappresentato per il nostro gioco e che volevamo avere di nuovo, in parte per il suo modo di giocare ma anche per la sua personalità come uomo”, ricorda Patrick Barclay. Ardiles contribuì alla vittoria della coppa Uefa nel 1984 e giocò qualche altra stagione onorevole con gli Spurs, prima di chiudere la carriera tra Blackburn, Qpr e Swindon Town.
Anni dopo tornò ancora a Tottenham come allenatore, ma la sua esperienza in panchina non fu certo all’altezza di quella come giocatore. Oggi Ardiles è uno degli ambasciatori del club.