Smetto quando voglio

Smetto quando voglio
8 Dicembre 2014 scat

SIMBOLICIECHI versione per non vedenti

 

Il giocatore esce dallo spogliatoio per l’ultima volta, afferra la borsa e si avvia verso la sua auto sportiva. Nella borsa c’è la sua maglia, l’ultima maglia indossata della sua carriera. Non ha voluto scambiarla con nessuno. Sale in macchina, accende il motore e pensa. Tra cinque anni si vede seduto al ristorante a ordinare linguine alle vongole veraci, fritto misto, impepata di cozze e una buona bottiglia di Chardonnay. Tiramisù e liquore al mirto. Tutta roba che finora ha potuto mangiare, se andava bene, una volta all’anno. Si vede grasso, col doppio mento. Il taglio di capelli, pochi e brizzolati, non sarà più emulato dai ragazzini. Si chiede cosa farà domani. Magari qualche emittente televisiva lo contatterà per commentare le partite. L’ambiente, d’altronde, gli è sempre piaciuto. Un mondo colorato in hd, popolato di belle donne, giornalisti, artisti e comici. Sarebbe divertente.

La sua auto avanza nella pioggia sotto il cielo e sopra la pianura, padani entrambi e dello stesso grigio. La strada è dritta, per ora è dritta. Chissà se arriva un ponte di ferro o una curva dolce, accomodante. Accende la radio, scorre le trasmissioni sportive cercando qualcuno che parli di lui, del suo ritiro. Ancora no, sono tutti impazziti per quel rigore negato a Roma. Spegne la radio e pensa che in fondo la tv è difficile da fare, e lui con l’italiano non ci va sempre d’accordo. Non è come Bergomi e Marchegiani, non ha la parlantina. Ogni tanto sbaglia anche qualche congiuntivo. Al massimo potrebbe fare qualche comparsata nei programmi sportivi delle tv locali, dove una buona grammatica non è indispensabile.

Il rumore dei tergicristalli sul vetro asciutto lo riporta indietro dai suoi pensieri. Ha smesso di piovere. Mette i tergicristalli in automatico, apre uno spiraglio del finestrino. Dalla strada arriva l’odore delle fabbriche ma anche l’odore degli alberi bagnati. Suona il cellulare. Sullo schermo del navigatore compare il nome di sua moglie e una foto di lei mente gli spalma l’olio abbronzante, a Miami. Decide di non rispondere. Non ancora. Forse sarebbe meglio pensare al corso di allenatori a Coverciano. Così, subito, senza perdere tempo. Tanti amici ed ex compagni sono andati a rifugiarsi alla FIGC, ma il patentino lo hanno preso in pochi e anche quei pochi lo tengono sul comodino, inutilizzato. I più fortunati hanno strappato il contratto per allenare qualche squadra giovanile.

Senza accorgersene solleva il piede dall’acceleratore. La macchina rallenta. Già si immagina quando reciterà, mentendo, la litania logora che ripetono tutti quei mediocri ex calciatori: “Allenare i ragazzini è sempre stato il mio sogno”. E poi sbavano quando vedono Guardiola e non si capacitano della fortuna che ha avuto Inzaghi. E se scrivesse un’autobiografia? Improvvisamente pigia il piede sull’acceleratore. La ripresa della macchina gli schiaccia la testa indietro. Supera due mercedes e le stacca in meno di due secondi. Scrivere un bel libro insieme a qualche giornalista prezzolato, uno di quelli che lo chiamano ogni lunedì e che sicuramente non si tirerebbero indietro davanti a un po’ di soldi facili. Il racconto  della sua vita sacrificata al calcio. Se ha venduto quello di Agassi allora venderà anche il suo.

I tergicristalli ripartono, ha ricominciato a piovere. Improvvisamente quel suono, pioggia sul vetro e spazzole sul vetro, lo rende insicuro. E se poi la storia non interessasse a nessuno? Decine di scatoloni pieni di libri invenduti in cantina. Un’umiliazione cocente. Il presidente gli ha detto sempre che in società un posto per lui ci sarà, ma sa benissimo come funzionano queste cose. Parole che odorano di tranello. Tutti sorridono, ti fanno i complimenti, si rendono disponibili e dopo qualche settimana il telefono smette di squillare. Poi quando provi a richiamare il presidente ti risponde la segretaria: “Mi dispiace il Presidente è in riunione”.

Mette la freccia, rallenta al casello, accelera di nuovo. Passa da un’autostrada all’altra. Di anno in anno, il giorno del suo compleanno, qualche giornale gli chiederà un’intervista e lui racconterà pezzi di carriera, ogni volta nello stesso modo. Probabilmente col passare degli anni si renderà sempre più ridicolo e alla fine gli resteranno soltanto i vecchi col bastone, come lettori. A quelli piace tantissimo leggere un vecchio nome sul giornale e cominciare a raccontare. Sfrutteranno la sua storia per raccontare la loro storia. Ma non è poi così sbagliato.

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Suona ancora il telefono. È di nuovo sua moglie, ma da un altro numero. Stavolta sullo schermo del navigatore appare una foto di tutta la famiglia. Lui, lei e le due bambine. Forse avrebbe dovuto scegliere un nome diverso. Forse avrebbe dovuto imporre la sua volontà e non lasciare decidere la moglie. La più grande già la prendono in giro, nessuno sa come si scrive Gwen. Che schifo di nome è Gwen? L’altra è ancora piccola, per fortuna. Non risponde alla telefonata. Forse avrebbe anche dovuto imparare a fare qualcos’altro, anziché passare il tempo libero con la playstation o in qualche locale di lusso a bere bevande analcoliche. Tutto quel tempo sprecato con gli sponsor, negli aeroporti, su internet a leggere gli articoli e le pagelle…

Vede una piazzola di sosta, mette la freccia, si ferma. Scende dalla macchina. Fuori piove, ma non troppo. Guarda la macchina e pensa che non ne avrà mai più una migliore. Quella è l’ultima macchina sportiva da calciatore, la più costosa, la più bella. Prima o poi dovrà cominciare a vendere qualche macchina e alla fine magari dovrà vendere anche quella. Si accende una sigaretta e pensa che la cosa più intelligente che ha fatto nell’ultimo anno è stato ricominciare a fumare, quando sapeva già che si sarebbe ritirato. Sigarette di lusso. È passato tanto tempo dalle MS morbide in seconda media, prima che lo comprasse la Fiorentina e lo portasse via dalla sua città. Si appoggia alla macchina e sente il vestito elegante che si bagna di pioggia. Segue pensieri a caso, che non portano da nessuna parte. Alle sue spalle c’è l’autostrada e il sibilo continuo delle macchine che passano. Davanti a lui, oltre il guardrail, un campo incolto o forse coltivato ma non si capisce bene con cosa. Nessuna montagna all’orizzonte e niente mare. E se non smettesse di giocare? La schiena fa male, ma non così male. Ha già detto che questo era l’ultimo anno, ma è stato molti mesi fa. Ha ancora due anni di contratto. I contratti si rispettano. Le bandiere non si ammainano. Ancora due anni, e magari altri due. Non è un opinionista, non scrive libri, non è un appassionato di tattica e soprattutto non vuole tornare a casa. È un calciatore. Ancora due anni, ancora un’altra auto di lusso, un altro sponsor, un altro coro di tutto lo stadio. Tutto lo stadio. Tutto lo stadio.