Il pulcino nazionale

Il pulcino nazionale
17 Giugno 2015 Damiano Cason

Pronti via, Juve in vantaggio. Come sempre, ora si può difendere il risultato, sono gli altri a dover fare la partita. Ma chi si aspettava questo caldo? La mamma aveva detto di mettere la crema protettiva, non l’ho ascoltata. Eppure ieri quando prendevo il gelato da Gasprin, in piazza a Moncalieri, il sole non sembrava così infausto. Pochi minuti dopo il padre, che lo stava riportando a casa dall’allenamento pomeridiano, gli confidò in macchina che gli sarebbe piaciuto vederlo giocare come “il Mago” Valdivia. Chi? Io sarò il nuovo Marchisio, su questo non c’è alcun dubbio. Ma nel calcio a 7 tra il mediano e il fantasista cambia poco, così al torneo “Arti Grafiche Turini” di Castel Goffredo, ricopre il doppio ruolo di filtro di centrocampo e di uomo assist. Gli avversari di giornata sono tosti: Castellana (la squadra locale), Milan, Juventus, Torino, Padova, Mantova, Venezia, Alessandria, Cremonese, Chievo. Ma diciamoci la verità, i giocatori hanno tutti 8 anni. Non possono capire molto di tattica e nemmeno avere un’adeguata forza d’animo. Nel calcio la forza d’animo è importantissima, la partita potrebbe capovolgersi da un momento all’altro. Una spallata in più a quella scattante ala, e dall’azione successiva potrebbe cominciare a giocare come un panciuto idraulico in pensione. Dei bambini di 8 anni non possono capire queste cose. Non parliamo poi di come si difende un risultato: ieri quella mi ha dato la mano a ricreazione, oggi se la intende con quel mocciosetto che ha sempre le merendine al cioccolato. Lui l’Iphone 4 non ce l’ha però, tornerà. Comunque cosa importa? Io guardo Marchisio, guardo tutte la partite, alcune allo Stadium con papà (non tante perché lì papà non può fumare). Claudio sa come si cambia una partita e sa come si difende un risultato. La mamma però ci tiene a dire che i grandi non giocano sotto questo sole a mezzogiorno. E il pulman lo prendono solo per andare dall’hotel di lusso in centro allo Juventus Stadium, per il resto c’è l’aereo. Però bravi questi della Castellana, almeno ci offrono lo spiedo: infilzano la carne cruda sulle aste di ferro quando le squadre ancora devono partire dalla propria città, ed è cotto a puntino intorno alle 13, quando il sole è più cocente. Il pasto ideale per rimettersi in moto e giocare le finali. Fino alla fine, senza hashtag, ma solo perché ancora non ci è consentito di usare un telefono cellulare.

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L’ultima partita, quella che separa i pulcini della Juventus dalla vittoria del torneo tenutosi il 2 Giugno, si deve giocare contro i rivali storici rossoneri. Pronti via, Juve in vantaggio. Come sempre, ora si può difendere il risultato, sono gli altri a dover fare la partita. Anche a 8 anni, è una legge del calcio universalmente accettata. E allora il Milan fa la partita. Infarcito di campioncini formato mignon, che toccano già la palla come Savicevic o la fanno girare come Redondo. Quelli della Juventus no, giocano solo come Buffon, Bonucci e Chiellini. Un portierone e due difensori che non fanno vedere la palla ai funanboli avversari. Per il resto sono solo bambini a cui è stato martellato in testa che bisogna correre di più dell’avversario. Qualche adolescente sugli spalti azzarda a bassa voce la sua personale telecronaca all’amico, accostando i campioncini ai giocatori della prima squadra: “Ecco Honda che cambia il gioco per Cerci, Cerci si accentra e prova a metterla dentro per Destro… ma viene anticipato da Chiellini”. Ma il futuro Marchisio è stanco, non può ricevere palla asfissiato dai trequartisti-incontristi avversari, così il piccolo-Bonucci deve provare un lancio dei suoi: nel deserto. Davanti non c’è nessun Carlitos capace di far salire da solo un’intera squadra. Sono lande inesplorate per i piccoli bianconeri, mentre il Milan costruisce azioni da gol una dietro l’altra, una più bella dell’altra. Tutte sventate all’ultimo secondo dalla difesa. Finché uno di quei lanci nel vuoto non si trasforma in un contropiede che produce finalmente un tiro in porta della Juventus. Basta quello, perché il portiere non è un fenomeno e si fa sfuggire una palla facile sui piedi dell’attaccante avversario: 2-0 e partita in cassaforte. Eppure c’è una grossa sproporzione di gioco tra le due squadre, a favore del Milan. Sembra di vedere la Juve di Conte, tutti quei bambini gettarsi sulla palla con il coltello tra i denti. Evidentemente, dopo che il Barcellona ha mostrato al mondo cosa succede insegnando lo stesso tipo di calcio a tutti giocatori da quando hanno 8 anni a quando ne hanno 30, anche le altre squadre hanno seguito quel modello. Ma l’allenatore della prima squadra non è più Antonio Conte, e allora forse il modo di giocare e i metodi di allenamento sono una cosa che travalica i contratti di breve durata dei professionisti. Forse, già tra i pulcini, si possono vedere i differenti approcci al calcio tra le diverse scuole: quella rossonera insegna a giocare a calcio perché insegna a vivere in un mondo ovattato in cui esiste solo il calcio, coltivando piccoli funamboli fin dalla più giovane delle categorie. Un universo berlusconiano di mondi separati, quello dello spettacolo, quello del calcio, quello degli affari; poi probabilmente si spezzerà loro il cuore quando gli verrà comunicato che non potranno arrivare a giocare nella prima squadra. Quella bianconera insegna a combattere, perché il calcio non è altro che una piccola parentesi in un mondo nel quale “vincere è l’unica cosa che conta”. È l’eterna lotta dell’uno contro il molteplice: un molteplice atomizzato, un uno corrotto.