James Keene, coda di squame

James Keene, coda di squame
16 Ottobre 2014 scat

SIMBOLICIECHI versione per non vedenti

 

James Keene ama Teddy Sheringham e lo rispetta profondamente. Ci ha giocato insieme, ha rubato i suoi segreti più inconfessabili venendo a contatto con il dolore, con la freddezza del cuore di un attaccante. Leggenda vuole che il giovane Keene gli chiese un giorno nello spogliatoio “come fai ad essere una punta così forte?”, e Sheringham si mise a piangere. Ma Keene nel tempo ha imparato a non amare Portsmouth e l’Inghilterra ingrata e per qualche tempo ha sognato di essere convocato per la Svezia, dove ha vinto un campionato con l’Elfsborg. La Svezia lo ha fatto sentire importante, gli ha dato la sensazione di essere un eroe. James Keene ha la testa incassata nelle spalle. Di struttura solida ma irruento e nervoso, in campo sembra un coccodrillo, cerca la palla roteando su sé stesso, come se avesse sempre fame. Per questo si adatta a qualsiasi ruolo, purché in attacco. Per questo appare confuso. Più lontano il coccodrillo Keene è dalla porta e più sente di buttare via la sua vita. La vicinanza alla porta, invece, lo tranquillizza.

Lui, in compenso, segna pochissimo. Colpisce con il collo pieno, se può non corre palla al piede, fa la prima cosa che gli viene in mente, in mischia preferisce piazzarsi a pochi centimetri dalla linea di porta avversaria. Così è più facile, basta girarsi e buttarla dentro con rabbia. Un colpo di coda. Succede di rado. Non ha una fidanzata fissa, non conosce nessuno. O forse ce l’ha, e conosce tanta gente. Di certo ha la faccia di chi parla senza pensare e nei momenti di maggiore confusione fa a botte con qualcosa o qualcuno. L’Elfsborg è stato il suo piccolo podere, il suo pezzo di specchio in cui farsi guardare. Poi il declino: non ha le qualità per fare un passo in più, si aggira sempre inquieto nella metà campo avversaria, senza una meta precisa, sempre con la stessa fame e quella sensazione di natura che invecchia senza motivo. I prestiti, una squadra diversa ogni anno, il valore di mercato che scende.

Qualcosa gli suggerisce che è quasi arrivato alla fine, quando si ritrova a far gol contro l’Hapoel Haifa, in una terra lontana che alcuni chiamano Israele. Scaricato dall’Inghilterra, scaricato dalla Svezia. Sheringham commenta le partite in televisione, sorride, è felice. James perde il controllo di sé, passa i pomeriggi nei centri commerciali. Ha ventotto anni e andare a mangiare sushi con un’aspirante indossatrice israeliana (molto carina, educata, genitori francesi, dice lei) non gli basta. Gli chiedono come mai non torni in Inghilterra. Possibile che il suo vecchio Portsmouth non lo rivoglia? Possibile che quel rottame di Craig Westcarr sia meglio di lui? In League Two un James Keene che ha vinto un campionato in Svezia, un lottatore, uno che ha visto gli altri esultare per un suo gol (e sembravano davvero felici), uno così non trova posto? E poi, Westcarr è stato mai allenato da Klas Ingesson? Lui sì. Ha mai visto i giardini di Milton Lodge, alle porte di Wells? Lui ci è nato, ma i suoi genitori non ce lo portavano mai. O forse c’è stato e non se lo ricorda. E comunque questo Westcarr non l’ha mai visto in faccia, sa che gioca, che segna, senza scomodarsi, senza grilli per la testa. Perché anche lui non ha fatto così?

Una normale carriera nel Somerset, da qualche parte. Perché gli hanno fatto credere che avesse qualcosa di più? Portsmouth è la città di Rudyard Kypling, ma James Keene è un ignorante, non sa niente, non capisce. Segue l’istinto. Il pianto di Sheringham è l’unico padre del suo football. Squilla il telefono anche per lui, mentre sta guardando le immagini della Bundesliga in un albergo della periferia di Tel Aviv. È Rudyard Kipling che lo chiama. James però cosa può saperne. Il contenuto della breve telefonata è oscuro: lui è un Makara, l’Isl lo segue da tempo e un attore di Bollywood ha dato il proprio assenso davanti al suo nome.

La voce di Kipling, quindi, si spegne. Cade la linea, a Keenee cresce una lunga coda verde a scaglie, ha una sete spaventosa, una voglia immensa di partire. Il suo titolo in Svezia, la finale di coppa, la sensazione che segnare era una cosa facilissima e poi non più, i silenzi di Sheringham, l’ossessione per le mischie, colpire alla cieca. Tutto sembra così triste, così vecchio, come il resoconto stinto di una vacanza con i genitori in una multiproprietà. Makara, Isl, Bollywood. James prende un aereo per Shillong, una fetta di terra soffocata tra il Bhutan e il Bangladesh, che ancora si chiama India. Quello che Keene non saprà mai, pur sentendolo confusamente da qualche parte nella sua testa rasata, è che il Makara è un mitico animale acquatico, che sta a significare “l’assoluta realtà che si concentra nell’acqua”. È legato alla fertilità di fiumi, laghi e mari. Compare anche sullo stendardo di Kama, il dio dell’amore: ha quattro (a volte due) zampe di leone o di cane; corpo scaglioso e una coda particolare, che certe antiche raffigurazioni decorano con motivi floreali. Ma che di certo rende l’animale mitologico tremendamente simile a un coccodrillo.

Keene il Solitario, lo Scaricato, ora è il Makara, gingillo d’amore, la sua coda è fiorita, la sua rabbia fertile. Alla decima giornata di League Two il Portsmouth, compagine con aspirazioni di media classifica, è stato bloccato su un fangoso 0­-0 sul campo del terzultimo Hartlepool: le punte sono rimaste a secco, stitiche, senza frutti.