Una stagione all’inferno

Una stagione all’inferno
28 Agosto 2015 Michele Manzolini

Luogo dell’atto unico: 
una cucina arredata con un gusto moderno, provvista di ogni comfort e molto ordinata. Sul fornello ci sono una caffettiera da dieci persone e un’altra per una persona sola. Sul frigorifero campeggiano magnetini di varie città del mondo. Sul tavolo quadrato, quattro tazzine disposte su appositi piattini e un cestino al centro con della frutta, banane, susine, prugne, pesche. Le persiane sono chiuse, ma filtrano spiragli di una luce fortissima.

Tempo della scena: 
una domenica d’agosto, in vari momenti della giornata.

Personaggi principali:
FRANCESCO, allenatore sessantenne, senza contratto.
WALTER, allenatore cinquantaquattrenne, regolarmente sotto contratto a poco meno di 300 mila euro al mese, ma sollevato dal suo incarico.
CLAUDIO CESARE, allenatore cinquantottenne, senza contratto.
ROBERTO, allenatore cinquantaduenne, senza contratto.
LUCIANO, allenatore cinquantaseienne, senza contratto.
KAPO, poeta.
DIECI MODELLE VENTENNI
INSEGNANTE PROCACE DI INGLESE

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Prologo

Kapo, un nero, sul proscenio, vestito con dolcevita nero, pantaloni lunghi neri attillatissimi, pantofoline de fonseca nere anch’esse. Ha un pallone sotto il braccio, fa un lungo inchino al pubblico.

KAPO: “Bon soir, bonjour, je suis Kapo, le poete. Je vous prie apresenter ma poesie.”

 Kapo comincia a palleggiare.

“De profundis Domine, suis-je bête! Encore tout enfant, j’admirais le forçat intraitable sur qui se referme toujours le bagne; je visitais les auberges et les garnis qu’il aurait sacrés par son séjour; je voyais avec son idée le ciel bleu et le travail fleuri de la campagne; je flairais sa fatalité dans les villes. Il avait plus de force qu’un saint, plus de bon sens qu’un voyageur – et lui, lui seul! Pour témoin de sa gloire ed sa raison. Sur le routes, par des nuits d’hiver, sans gite, sans habits, sans pain, une voix étreignait mon cœur gelé: ‘Faibless ou force: te voilà, c’est la force. Tu ne sais ni où tu vas ni porquois tu vas, entre partout, réponds à tout. On ne te tuera pas plus que si tu étais cadavre’. Au matin j’avais le regard si perdu et la contenance si morte, que ceux que j’ai rencontrés ne m’ont peut-être pas vu.”

Finisce il palleggio, fa un altro inchino ed esce.

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I.

Ore 05.45

La sola voce di Kapo accompagna la scena:

“Sì, ho gli occhi chiusi alla vostra luce.
Io sono una bestia, un negro.
Ma posso essere salvato.
Voi siete dei falsi negri, voi maniaci, feroci, avari.
Mercante, tu sei negro; magistrato, tu sei negro; generale, tu sei negro; imperatore, vecchia piaga, tu hai bevuto un liquore di contrabbando, dalla fabbrica di Satana.
Questo popolo è ispirato dalla febbre e dal cancro.
Infermi e vecchi sono così rispettabili che chiedono di essere bolliti.
La cosa più astuta è lasciare questo continente dove la follia si aggira per fornire ostaggi a quei miserabili.
Io entro nel vero regno dei figli di Cam.
Conosco ancora la natura? Mi conosco io?
Basta parole.
Mi seppellisco i morti nel ventre.
Grida tamburi danza danza danza danza!
Non vedrò nemmeno l’ora in cui sbarcando i bianchi, io cadrò nel nulla.
Fame sete grida danza, danza danza danza!”

Nella penombra, mentre si odono le parole di Kapo, entra in scena Francesco, in tenuta da ciclista attillata e coloratissima, un cappellino calcato sulla testa. Si muove nervosamente, mentre si precipita verso il frigorifero, lo apre e tira fuori una borraccia, svita il tappo con troppa foga e versa un po’ di beverone sul pavimento. Bestemmia. Posa sul tavolo la borraccia e prende un pezzo di carta per asciugare, si inginocchia sul pavimento e pulisce con cura. Poi appallottola il pezzo di carta e cerca la spazzatura, ma non la trova. 

FRANCESCO: “Ma vadano a cagare.”

Bestemmia ancora e si mette il pezzo di carta nel marsupio che ha legato davanti alla pancia. Già che c’è, verifica di avere le chiavi. Tira fuori il cellulare, resta un attimo incerto, come se non sapesse se portarlo con sé o meno. Poi lo posa sul tavolo, con decisione.

FRANCESCO: “Ma vadano a cagare tutti.”

Si precipita verso la porta che dà all’esterno per uscire, dimenticando dietro di sé la borraccia sul tavolo.  Il cellulare inizia a squillare. La suoneria riproduce la canzone cantata da Bobby Solo: ‘Domenica d’agosto’.

Buio in scena. La suoneria continua a squillare.

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II.

Ore 06.45

Claudio Cesare irrompe in scena con una elegante vestaglia nera di seta con orli dorati, lunga fino alla caviglia. Ai piedi ha semplici infradito di plastica con la bandierina del Brasile. Vede il telefonino che vibra sul tavolo e lo fissa per un po’ mentre la suoneria squilla a più non posso. Prende posto su una delle sedie e tiene lo sguardo fisso sul telefono, senza provare neppure a rispondere. Il telefono smette di squillare. Con calma, lo prende in mano, lo porta all’orecchio.

CLAUDIO CESARE: “Non sono interessato. Ma grazie di aver pensato a me.”

Di nuovo lo squillo, improvviso. Claudio Cesare si spaventa, lancia il telefono contro un muro, spaccandolo. Bestemmia. Fa il segno della croce chiedendo scusa al cielo della bestemmia. Si alza, va verso il fornello. Solleva il beccuccio della caffettiera da dieci per vedere se c’è ancora del caffè. Non soddisfatto, solleva quello della caffettiera da uno. Gli piace sollevare i beccucci.  Fa finta che le caffettiere si parlino tra loro, aprendo e chiudendo i beccucci.

CAFFETTIERA DA DIECI: “Cesare, cos’hai imparato dalle esperienze negative degli ultimi tempi?”

CAFFETTIERA DA UNO: “Claudio, grazie per la domanda. Sapevo che il calcio non ha memoria. L’allenatore è il primo responsabile, soprattutto quando i risultati non arrivano. È così da sempre. E io mi sono preso le mie responsabilità, anche quelle che avrebbero dovuto per logica essere di altri. Ma sono sicuro che il tempo darà il giusto valore a quanto abbiamo fatto.”

CAFFETTIERA DA DIECI: “E adesso cosa farà, Cesare?”

CAFFETTIERA DA UNO: “Continuerò ad illudermi di trovare sulla mia strada persone perbene. Continuerò ad essere un ottimista, Claudio”. 

CAFFETTIERA DA DIECI: “Quanto zucchero, Cesare?”

CAFFETTIERA DA UNO: “Due cucchiaini abbondanti, Claudio.”

CAFFETTIERA DA DIECI: “Credi in Dio, Cesare?”

CAFFETTIERA DA UNO: “Personalmente dopo tanti anni credo poco in quelli che vengono considerati ‘progetti tecnici’, Claudio. Sono attirato dalle sfide difficili, impossibili, che ti possano regalare adrenalina tutti i giorni.”

CAFFETTIERA DA DIECI: “Adrenalina tutti i giorni, Cesare?”

CAFFETTIERA DA UNO: “Sì stronzetto hai capito bene, adrenalina tutti i giorni.”

CAFFETTIERA DA DIECI: “Fai il nervosetto, Cesare?”

CAFFETTIERA DA UNO: “Fatti i cazzi tuoi, cretinetto.”

Soddisfatto, Claudio Cesare afferra la caffettiera monodose e versa il caffè in una tazzina. Si siede e inizia a mettere lo zucchero nel caffè. Squilla di nuovo il telefono, nonostante sembri spaccato per terra. Claudio Cesare si irrigidisce, rimette il cucchiaino nella zuccheriera, senza neppure rivolgere uno sguardo al telefono. 

CLAUDIO CESARE: “Grazie di aver pensato a me, ma io proprio non sono interessato.”

Il telefono smette di squillare all’improvviso. Claudio Cesare lascia perdere la colazione ed esce lentamente dalla cucina.

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III

Ore 7.30 

Roberto entra in cucina, con pantaloni lunghi della tuta e una maglietta con la scritta “nights in New York”. Avanza scalzo nella cucina in penombra. Apre subito le persiane. Entra la luce del sole, fortissima. Apre lo sportello del frigorifero e tira fuori un succo di frutta di marca, un grosso barattolo di marmellata senza etichetta e una confezione di burro da discount. Poi prende le fette biscottate da una credenza e le dispone con cura sul tavolo, vicine alla marmellata e al burro. Prima di sedersi, cerca un bicchiere e sistema anche questo sul tavolo.  Ora che tutto è pronto, si siede. Per prima cosa, versa il succo nel bicchiere, fino quasi all’orlo. Sposta il bicchiere un po’ di lato per farsi spazio e dedicarsi alle fette biscottate. Poi comincia a spalmare con una cura maniacale la marmellata sulla prima fetta biscottata. Taglia un angolo piccolissimo della noce di burro e spalma anche questo. Fa lo stesso per altre tre fette biscottate e le dispone una accanto all’altra, in fila. Le osserva senza mangiarle. Poi sposta una delle quattro fette in alto rispetto alle altre, in una posizione centrale. Distanzia le tre fette rimanenti, spostando quelle laterali più esterne possibili lungo il tavolo, una sulla fascia sinistra, una sulla destra. Si alza in piedi. Guarda il risultato dall’alto. Beve un sorso dal bicchiere senza staccare gli occhi dal tavolo.

ROBERTO: “Buongiorno, Roberto. Testone giù e lavorare.”

Sempre in piedi, prepara altre due fette per fare il centrocampo. Le carica di marmellata e le sistema dietro le tre mezze punte. Ogni tanto ritocca il suo schema e sorseggia un po’ di succo. Il bicchiere è a bordo tavolo, come fosse l’allenatore. Passa alla difesa, preparando fetta per fetta.

ROBERTO: “Questa qua è Franco Baresi.”

Sulla fetta per Baresi aggiunge altro burro. Quando arriva al portiere, si rende conto che è finita la marmellata.  Corre verso il frigo e apre nuovamente lo sportello, ma niente, di marmellata non ce n’è più. Bestemmia. Fa il segno della croce per chiedere scusa al cielo. Mangia la fetta del portiere, l’unica senza marmellata né burro. Poi con un ultimo lungo sorso beve tutto il succo. Si sente un campanello suonare per tre volte. Roberto si irrigidisce, fa sparire in fretta tutte le fette e, non trovando la spazzatura, le butta per sbaglio nel bidone per la plastica. Mette in salvo solo quella di Baresi e se la porta via, scappando nelle altre stanze.

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IV

ore 12.05

Walter entra in cucina in costume da bagno, zoccoli e acconciatura tirata all’indietro con il gel. Parla al telefonino e intanto afferra una banana e comincia a sbucciarla e a mangiarla.

WALTER: “Sì… esatto… quell’anno là avevo preso una squadra alla fine di un ciclo e che arrivava da una stagione disastrosa nella quale si era classificata al nono posto in campionato. Doveva essere l’anno della riprogrammazione, visto che c’erano 9 giocatori a scadenza e un tetto ingaggi ridotto rispetto al passato. Abbiamo conquistato un buon quinto posto e siamo tornati in Europa League, con i giusti presupposti per rilanciarci verso l’obiettivo massimo di questo campionato che era il terzo posto con conseguente qualificazione in Champions. E devo dire che se me l’avessero consentito sono certo che tale traguardo non ci sarebbe sfuggito… sì scrivi anche questo… sono certo…”

Si siede e mette le gambe sul tavolo, dopo aver afferrato un’altra banana. Vede la borraccia che ha lasciato Francesco. Ne beve un sorso, ci sputa dentro con disgusto, poi si rende conto di aver esagerato e svuota il contenuto della borraccia nel lavandino. Infine lo riempie d’acqua del rubinetto e lo posa di nuovo sul tavolo dove l’aveva trovato.

WALTER: “Su cosa si basa questa convinzione… che domande… no… guardi le rispondo subito…. si basa sull’esperienza e sui segnali che avevo lavorando sul campo tutti i giorni, senza dimenticare che al momento del mio esonero eravamo a soli 5 punti dalla terza. Inoltre avevo dei dati statistici importanti che avvaloravano ulteriormente questa mia convinzione, senza dimenticare che stavo recuperando titolari importanti dopo aver iniziato la stagione senza 12 reduci dal Mondiale e con molti infortunati.” 

Si alza e va verso il frigorifero, apre lo sportello e tira fuori una confezione di wurstel. La apre a morsi. Mentre parla mangia un wurstel dopo l’altro, poggiando il piede sul tavolo.

WALTER: “Sì… aspetti un attimo… lei mi fa ridere… vuole sapere dei dati statistici… sì sì… guardi quando parlo di dati statistici sono tutti verificabili… sono scientifici… come si può notare dai dati statistici all’undicesima giornata (dopo il pareggio interno contro il Verona che è costato l’esonero) eravamo posizionati costantemente tra il secondo e il terzo posto. Per esempio il dato sulla supremazia territoriale è particolarmente importante perché indica come la mentalità trasmessa al gruppo fosse propositiva, cioè l’esatto contrario di ciò che veniva fatto passare dai media. Come per quanto riguarda le giocate utili, nel quale eravamo secondi, è fotografia di come gli schemi e i tempi di gioco fossero stati assimilati. Anche per il dato delle occasioni create eravamo terzi, dietro solo a Juve e Napoli, mentre nella precisione di tiro scendevamo al diciasettesimo posto, segno evidente che ci mancava qualità in avanti, un problema che con il recupero del nostro attaccante più forte e un intervento nel mercato di gennaio avremmo potuto risolvere.”

Va verso il fornello e versa il caffè della caffettiera da 10 in una bottiglia, sporcando inevitabilmente tutto il lavandino. Poi agita la bottiglia e la beve a lunghi sorsi.

WALTER: “Io burbero? Luoghi comuni. Chi mi conosce alla fine mi ama. Mi segue e si diverte. Lavorare al mio fianco aiuta anche a capirmi, chi si avvicina a me scopre dettagli sconosciuti, il lato vero di me. Magari in televisione l’immagine che ne esce è quella distorta di un Walter diverso dalla realtà ma sto lavorando anche su questo, si può sempre migliorare… sì… senta si limiti a scrivere quello che le dico… non mi faccia perdere tempo… non vi fanno fare degli esami per scrivere velocemente…? Io ho da fare…  Dica… ah, perfetto… me l’aspettavo la domanda sui rapporti con gli altri allenatori… vuole sapere se sono antipatico a tutti… allora, parto dal presupposto che in questo mestiere c’è grande competizione e non c è spazio per amicizie vere: posso chiamare un tecnico che stimo se gli devo chiedere una cosa, se devo confrontarmi su questioni di campo, ma niente di più. Li si ferma tutto. Di sicuro non creo un vincolo profondo magari con un allenatore che non allena e che quindi vorrebbe essere al mio posto. Non ci potremmo raccontare la verità, sarebbe tutto costruito e quindi falso. Non è da me. Odio i rapporti ipocriti quindi meglio non averne… scriva sì… ok… l’ultima domanda, faccia pure…”

Suona il campanello. Walter ascolta la domanda e apre la porta. Entrano dieci bellissime modelle ventenni a cui Walter fa cenno di non fiatare, facendole entrare in cucina. Indica a ognuna di loro dove deve sistemarsi, dando dei piccoli pizzicotti sulle guance o dei baci sulla fronte e poi risponde alla domanda del giornalista al telefono. Le ragazze iniziano a spogliarsi.

WALTER: “Guardi io sono ancora sotto contratto fino all’anno prossimo. Se penso al mio cammino, non so chi in Italia negli ultimi 10 anni abbia realmente fatto meglio di me e lo dico tenendo presente il punto di partenza e non di arrivo. La gavetta costa ma alla fine paga. Se mi devo riconoscere un pregio, è la capacità di spingere tutti oltre il limite a partire da me stesso. Il calcio è la mia vita e sento di poter dare ancora tantissimo in panchina. In questo momento sto valutando il tutto con molta calma. Le proposte sembrano non mancare. Ho tutto il tempo per fare la scelta più giusta. Andrò in una situazione che mi trasmetta motivazioni forti… cosa faccio durante il giorno? Beh, semplicemente dopo tanti anni sempre a spingere sull’acceleratore sto rifiatando e ho più tempo per me, il che è tanta roba… bene ora devo proprio lasciarla.. devo visionare dei dati… domani leggerò e poi la richiamo. E la prossima volta cerchi di essere più sveglio.” 

Chiude il telefono. Le ragazze fanno dei cori in suo onore. Lui le zittisce e le invita al silenzio bruscamente. Poi si siede sul tavolo e accende una sigaretta. 

WALTER: “Va bene, ora cominciate. Svelte.”

Ripartono i cori, le ragazze improvvisano una ola, lo riempiono di complimenti e di elogi, urlando frasi sulla sua bellezza, simpatia, ricordandogli i suoi successi.

WALTER: “Più forte.”

Le ragazze urlano più forte ancora. Suona il campanello. Walter fa tacere tutte e va ad aprire. È Francesco, ansimante, sudatissimo, distrutto dalla stanchezza. Non riesce a parlare. Walter gli fa spazio per entrare. Francesco si guarda intorno. Le ragazze non lo salutano neppure. Lui vede la borraccia e la afferra.

FRANCESCO: “Avevo dimenticato questa.”

Walter non risponde e gli tiene aperta la porta. Francesco, a testa bassa e con la borraccia in mano, esce dalla porta e torna fuori verso la sua bicicletta. Appena si chiude la porta, Walter riceve un’altra telefonata. Fa cenno alle ragazze di aspettare. 

WALTER: “Sì… dica… rivista online… sono tutte online… che v’è finito l’inchiostro…? Velocemente che ho un appuntamento con i miei procuratori… il rapporto con i miei presidenti… allora con i presidenti è capitato che abituandoli bene si siano scordati da dove arrivavano. Mi sono accorto che lo straordinario si trasformava in risultato ordinario. Far troppo bene è rischioso perché produce una sorta di assuefazione con presidenti che hanno scambiato il troppo per la routine, invece di stringermi la mano a prescindere. Lo sanno prima di scegliermi, prendere o lasciare. Il confronto fa bene, fa crescere, tenendo sempre presente il rispetto dei ruoli e della persona ed inoltre il mio lavoro a 360° gradi ha preparato il terreno per chi è venuto dopo.” 

Qualcuna delle ragazze protesta per l’attesa. Walter si innervosisce moltissimo, mentre parla al telefono. Prende per il polso quelle che hanno protestato e le manda fuori di casa. Poi fa lo stesso con le altre, arrabbiatissimo.

WALTER: “Guardi… sì… io in realtà sono ancora sotto contratto fino all’anno prossimo. Se penso al mio cammino, non so chi in Italia negli ultimi 10 anni abbia realmente fatto meglio di me e lo dico tenendo presente il punto di partenza e non di arrivo. La gavetta costa ma alla fine paga. Se mi devo riconoscere un pregio, è la capacità di spingere tutti oltre il limite a partire da me stesso. Il calcio è la mia vita e sento di poter dare ancora tantissimo in panchina. In questo momento sto valutando il tutto con molta calma. Le proposte sembrano non mancare. Ho tutto il tempo per fare la scelta più giusta. Andrò in una situazione che mi trasmetta motivazioni forti…”

È rimasta solo una ragazza, che comincia a rivestirsi, gli dà un bacio sulla fronte e poi esce anche lei. Walter non si oppone all’abbandono. È da solo in cucina.

WALTER: “Cosa faccio durante il giorno? Beh, semplicemente dopo tanti anni sempre a spingere sull’acceleratore sto rifiatando e ho più tempo per me… D’accordo… online… domani leggo e la richiamo… sì…”

Chiude il telefono. Guarda intorno a sé, il caffè sul lavandino, le bucce di banana sul tavolo, la confezione di plastica dei wurstel per terra.  Richiama l’ultimo giornalista che l’ha contattato.

WALTER: “Sì salve… sono ancora Walter… no no tutto bene… tutto a posto… volevo solo chiederle… secondo lei sono stato simpatico? Insomma? Non molto. Capisco. Capisco. Ma lei lo sa che chi mi conosce mi ama? Lo sa? Ha chiesto in giro? Io ho molte qualità. Lei non lo sa? S’informi.” (chiude il telefono di nuovo).

Buio.

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V.

Ore 13.30

Kapo fa stretching seduto sul tavolo, ma nessuno sembra vederlo.

Francesco ha una maglietta con la scritta “Chef” e sta cuocendo una melanzana. Walter è vestito come prima in costume e zoccoli e sta mandando un messaggino col telefonino mentre fuma. Roberto ha la solita maglietta “nights in New York”, i pantaloni della tuta e ha gli occhi incollati allo schermo del computer. Vicino a lui c’è Claudio Cesare che un po’ lancia sguardi allo schermo e un po’ sfoglia le pagine di un grosso libro.

KAPO: 

“Bisogna sottomettesi al battesimo, s’habiller, travailler…
Ho ricevuto al cuore il colpo della grazia.
Ah! Non l’avevo previsto!
Non ho mai fatto del male. I giorni mi saranno leggeri, il pentimento mi sarà risparmiato.
Io non avrò avuto i tormenti dell’anima quasi persa al bene, dove la luce risale severa come i ceri funebri.
La sorte del figlio di buona famiglia, bara prematura coperta di limpide lacrime.
Senza dubbio la dissolutezza è cretina, il vizio è cretino; bisogna scartare il marcio.
Ma l’orologio non sarà potuto giungere a suonar solo l’ora del puro dolore!
Sto per essere assunto come un bambino, per giocare in paradiso nell’oblio di ogni infelicità!
Presto! Ci sono altre vite?… Il sonno, il sonno nella ricchezza è impossibile.
La ricchezza è sempre stata un bene pubblico.
Solo l’amor divino concede le chiavi della scienza.
Io vedo che la natura non è che uno spettacolo di bontà.
Adieu chimères, idéals, erreurs.
Addio chimere, ideali, errori.”

WALTER: “A mio avviso non c’erano i presupposti per un esonero sportivo. Per quanto riguarda la situazione ambientale, invece, mi sono fatto una mia idea. Ma tutti fanno finta di non sapere. Non dico altro, ci sarà tempo e modo di parlarne in futuro. Gli addetti ai lavori hanno riconosciuto come nelle mie squadre ci fosse sempre un’organizzazione di gioco precisa e propositiva.”

ROBERTO (a Claudio Cesare): “Qui, vedi, in questo punto qui, il portiere non può sbagliare in questo modo. Guarda proprio in direzione della porta. Voleva far credere a tutti che avrebbe spazzato con il piatto sinistro e invece, voglio dire, se guardi bene Claudio Cesare, se guardi bene, gli viene istintivamente di guardare verso la sua porta. Io dico che lo fa un attimo prima di colpire, la direziona. L’autogol lo fa il suo istinto. Se l’è venduta. C’è marcio ovunque. Hanno tradito tutti, ci stanno abbandonando tutti, Claudio Cesare.”

CLAUDIO CESARE: “Se non arrivano i risultati è perché sono stati commessi degli errori, Roberto.”

ROBERTO:  “Vero. Vogliamo parlare delle scommesse? Di chi si è venduto le partite? Io sarei spietato: se uno sbaglia non deve più fare questo lavoro. Se uno ha fatto il malandrino non deve più far parte del calcio. Invece, tutto scivola. Chi sbaglia si ricicla. E riparte. Ma la gente è stanca. Gli stadi sono sempre più vuoti perché non partecipare è un modo per ribellarsi. Le istituzioni devono dare il buon esempio. E bisogna smettere di pensare che il calcio sia un mondo ‘diverso’. Dove anche gli errori sono pagati in maniera più blanda. Prendete gli ultimi incidenti tra i tifosi. Mi aspettavo una reazione più decisa. Provvedimenti duri. Invece, tutto passa. Poi, le regole riaffiorano su altri temi.”

CLAUDIO CESARE: “Abbiamo fatto molto bene quattro anni, poi abbiamo sbagliato due partite e siamo tornati a casa.”

WALTER: “Sto studiando inglese con un professore madrelingua. E so farmi capire in spagnolo.”

ROBERTO: “Abbiamo dimostrato che il mondo del calcio non è fatto solo di gente ricca e viziata. Noi abbiamo dimostrato di essere uomini onesti e col senso del dovere. Da una vicenda tragica sono emersi aspetti positivi.”

WALTER: “I dati oggettivi sono inconfutabili. Ma per alcuni detrattori di professione anche la matematica diventa un’opinione e non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. So come funziona: i preconcetti sulla persona sono in grado di distorcere la realtà.”

FRANCESCO: “È pronta.”

Walter spegne la sigaretta, Claudio Cesare chiude il suo libro e lo lascia cadere per terra. Roberto digita un tasto sul computer e lo sposta con eleganza dalla tavola. Kapo si siede a tavola con loro, ma loro non lo vedono ancora. Francesco taglia in quattro parti uguali la melanzana. Mangiano in silenzio, molto lentamente. Fanno alcuni rumori buccali, di masticazione e posate che urtano altre superfici. Walter finisce di mangiare per primo. Claudio Cesare scoppia a piangere. Roberto gli mette una mano sulla spalla. Walter prende il telefonino in mano e gli fa una foto. Francesco fa finta di non vedere.

CLAUDIO CESARE (singhiozzando): “Mi era stata proposta un’idea innovativa: il presidente mi ha convinto dicendomi che avrebbe comprato altre tre squadre, una italiana, una inglese e una tedesca. L’obiettivo? Dare il via a un progetto di ampio respiro, ambizioso e di prospettiva. Le trattative per l’acquisizione di questi club erano già state avviate, altrimenti non avrei detto sì. I problemi sono cominciati quando il consiglio direttivo del club gli ha voltato le spalle. Ecco, da quel momento sono cominciati i guai. Per lui, che si è dimesso, e per me… Non sono stato esonerato, ma licenziato per ragioni economiche. Ci stavamo giocando la conquista del campionato, le cose in campo non andavano male, tutt’altro.”

WALTER: “Tutt’altro.”

Claudio Cesare va su tutte le furie e salta su Walter ingaggiando con lui una lotta stanca, senza che nessuno abbia la forza di assestare dei colpi. Rotolano blandamente sul pavimento, mentre sgorgano lacrime. Roberto sparecchia la tavola, butta tutto nel bidone per la plastica. Poi va da Claudio Cesare e Walter e li accompagna fuori, con educazione. Loro si lasciano portare via.

WALTER (uscendo): “Non è vero che non conosco giocatori stranieri.”

Restano Francesco e Kapo. Francesco vede Kapo, gli prende le mani e lo guarda negli occhi.

FRANCESCO: “Mi sento ancora giovane, ho ricaricato le batterie e ho voglia di allenare. L’anno sabbatico mi ha fatto bene, credo che ogni tanto sia salutare staccare la spina. L’anno scorso avevo gestito qualche situazione in una maniera anomala per me, e non mi sono piaciuto. È stato un campanello d’allarme, ho capito che dovevo fermarmi. Ero stanco e avevamo programmato per me un ruolo diverso che poi non mi è stato permesso di svolgere. Voglio ricominciare, ho avuto qualche contatto, aspetto. Sono ancora in condizione di poter scegliere.” 

Kapo lo abbraccia e gli dà un bacio sulla fronte. Francesco sale sul tavolo, le luci sono tutte su di lui.

FRANCESCO:  “La noia non è più l’amor mio.
Le ire, le dissolutezze, la follia, di cui so tutti gli slanci e i disastri – tutto il mio fardello è deposto.
Apprezziamo senza vertigine la vastità della mia innocenza. Non sarei più capace di chiedere il conforto di una bastonata.
Non mi credo imbarcato per delle nozze con Gesù Cristo per suocero.
Non son prigioniero della mia ragione. Ho detto: Dio.
Voglio la libertà nella salvezza: come perseguirla?
I gusti frivoli m’hanno lasciato. Non più bisogno di dedizione né d’amor divino.
Io non rimpiango il secolo dei cuori sensibili.
Ognuno ha la sua ragione, disprezzo e carità: io mi prenoto un posto in cima a questa angelica scala di buon senso.
Quanto alla felicità stabilita, domestica, o no… no, io non posso proprio.
Sono troppo dissipato, troppo debole.
La mia vita non è abbastanza pesante,
vola e fluttua al di sopra dell’azione, caro punto del mondo.
Come divento una vecchia zitella, a mancar del coraggio d’amare la morte!”

Buio.

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VI.

Ore 16.15

Roberto entra di soppiatto nella cucina vuota. Va verso il bidone della plastica. Estrae una delle sue fette biscottate che aveva buttato via a colazione.

ROBERTO: Costacurta…” e la mangia avidamente.

Tira fuori tutte le altre fette e le dispone sul pavimento. Suona il campanello. Walter elegante e profumatissimo in camicia bianca e pantaloni neri va ad aprire la porta. C’è una giovane e procace signorina che gli sorride.

WALTER: “Giast in taim. Ui hev lesson nau? Guud guud. Enter. Enter.”

Roberto è sul pavimento che raccoglie le fette biscottate in fretta e furia e se le porta via, di corsa, cercando di sfuggire allo sguardo di Walter e della procace insegnante di inglese.

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VII.

Ore 18.30

Francesco, Walter, Claudio Cesare e Roberto sono tutti vestiti di tutto punto, seduti intorno al tavolo. Ognuno ha un telefonino davanti a sé. In sottofondo, la canzone di Bobby Solo ‘Domenica d’agosto’. Guardano nervosamente l’orario. Roberto ha un po’ di marmellata sulla camicia bianca. Suona il campanello. Si alzano tutti insieme. Va ad aprire Francesco. È Luciano. Entra in casa, vestito con un manto di orso, un cappuccio di peli e un fucile. Francesco resta in piedi con la porta aperta. Roberto ha già rimesso gli occhi sul suo telefonino. Claudio Cesare lo guarda sdegnato. Walter accende una sigaretta.

LUCIANO: “Ho trascorso quattro anni fantastici a San Pietroburgo. Ho condiviso con i miei calciatori, con gli amici, con tutto lo staff presente all’Udelny Park e con i tifosi vittorie indimenticabili, gioie grandissime e qualche amarezza che porterò per sempre con me. Grazie all’affetto ricevuto ora sono un pietroburghese. San Pietroburgo è casa mia e qui continuerò a vivere. Come ogni Pietroburghese tifo Zenit e gioirò di ogni successo che avremo. Voglio ringraziare lo Zenit e Aleksej Miller che mi ha voluto qua e mi ha permesso di vivere questa grande esperienza nella luminosa e storica San Pietroburgo. Anche se ora non sono più l’allenatore dello Zenit, sono sicuro che questa squadra abbia qualità importanti e che Semak riuscirà a tirarle fuori. Forza Zenit!”.

Luciano scoppia in lacrime e fa partire un colpo verso l’alto.  Entra dall’interno della casa la procace insegnante di inglese di Walter in vestaglia a fiori.

INSEGNANTE PROCACE DI INGLESE: “What a mess!”

Luciano fa partire altri colpi e piange, mentre l’insegnante continua a urlare. Walter si alza improvvisamente in piedi e fa cenno a tutti di tacere. Sta vibrando il suo telefonino. A fatica riesce a ottenere il silenzio. Risponde.

WALTER: “Sì sono Walter.”

Tutti tacciono. 

WALTER: (al telefono) “Certo… me lo passi pure… (rivolgendosi ai presenti) è il presidente di una grossa squadra spagnola… vuole parlare con me.”

Tutti prendono posto, in silenzio e con un po’ di amarezza. La luce si concentra solo su Walter, sorridente.

WALTER (al telefono) “Sì, soy Walter. Buenas tarde.”

Resta per un po’ al telefono, con un bel sorriso.

WALTER: “No entiendo.”

Dopo un po’ cade la linea e Walter chiude la telefonata.

WALTER (agli altri): “Avevo intravisto la conversione al bene e alla felicità, la salvezza. Posso descrivere questa visione? L’aria dell’inferno non tollera gli inni. Erano milioni di creature affascinanti, un soave concerto spirituale, la forza e la pace, le nobili ambizioni, e che ne so? Le nobili ambizioni!”.

Quando le luci tornano ad illuminare la stanza, c’è solo Luciano che ascolta attentamente Walter, seduto accanto a lui.

LUCIANO (insinuante, quasi sotto voce): “Io ho avuto un pour-parler con un presidente. Solo un pour-parler. Poi è finita lì.”

Buio.

FINE