Ricardo Zamora, Barcellona, Catalogna

Ricardo Zamora, Barcellona, Catalogna
4 Febbraio 2015 Damiano Cason

Per salire a Montjuïc ci sono diversi modi. Si può scegliere il lato che arriva dal porto commerciale e che costeggia il parco olimpico, la scalinata del museo di Catalunya che arriva fino a Plaza Espanya o i giardini botanici dal lato di Poble Sec. Le stradine di Poble Sec si arrampicano dolcemente fino ad attraversare le ripide scalinate dei Jardins de Laribal e la Fondazione Mirò. La strada è quella che porta al Castell de Montjuïc, ma per non allungarla è preferibile evitare Passeig Migdia e proseguire al bivio su Passeig Olimpic, che costeggia lo stadio dal lato posteriore. La zona è il punto più alto di quella parte della collina e ospita impianti sportivi di ogni tipo, perfettamente funzionali e curati nei minimi dettagli. I giardinieri e i vigilantes somigliano tutti vagamente a Neymar o Andrés Iniesta, e anche i loro capelli sono perfettamente funzionali e curati nei minimi dettagli. The sun in shining, the weather is sweet. La salita è faticosa. Chissà se Ricardo Zamora, il miglior portiere della storia, spesso descritto come un Pavel Nedved dei tempi andati per i suoi allenamenti ossessivi, la percorreva di corsa. Molto più probabilmente Il Divino era già lì, già più in alto di tutti, a sfiorare il cielo dove l’unico altro portiere si diceva che fosse San Pietro. Appena si comincia a scendere sul versante del porto commerciale, ecco che ci si imbatte nel cimitero di Montjuïc. Purtroppo è l’ingresso posteriore. Sulle mappe non è segnalato che l’entrata principale si trova a valle sul lato opposto.

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Grande quanto un paese, con tanto di strade a doppio senso e ben ventidue fermate dell’autobus per viaggiare da una sezione all’altra, il Cementeri de Montjuïc sembra una vecchia fortezza medievale che con le sue mura composte di pietre a vista e tombe si arrocca attorcigliandosi su una costa della montagna. Un gioiellino curatissimo con tanto di mappa con nomi delle strade e segnalazione precisa della posizione delle tombe di personaggi illustri. Tra questi Ricardo Zamora, che di politica non parlava ma la cui storia ha attraversato il periodo più burrascoso della tormentata Spagna degli anni ‘30. Camminando lungo il sentiero più esterno che si affaccia sul porto è impossibile non imbattersi nel memoriale dedicato ai tre anarchici Francesc Ferrer i Guàrdia, Francisco Ascaso e soprattutto Buenaventura Durruti (che combatté per la Repubblica) sulla cui lapide giacciono sempre una rosa rossa e una bandiera rossa e nera. “Ferrer, Ascaso e Durruti simboleggiano e ci ricordano i tanti anonimi che donarono le proprie vite per gli ideali di libertà e giustizia sociale”. Durruti morì nel 1936 sul fronte di Madrid, proprio dove si disse erroneamente che Zamora fosse stato ucciso dai Repubblicani. Quello stesso anno Zamora, con una parata epica all’ultimo minuto, aveva negato il pareggio al Barcelona regalando la Coppa di Spagna (in quegli anni non più Coppa del Re bensì Coppa della Repubblica) al “suo” Madrid che, negli otto anni della Repubblica, era tornato alla denominazione originale, perdendo il titolo di Real come accaduto anche all’Espanyol.

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Zamora non si immischiò mai in quelle questioni. Fu imprigionato, e una volta libero si trasferì in Francia, a Nizza. Il grosso della sua carriera in verità non fu a Madrid ma a Barcelona, la sua città, dove quel Durruti che giace a poche decine di metri riuscì in sua assenza a vincere i fascisti e a proclamare la più famosa amministrazione anarchica della storia. Zamora però faceva parte di quella parte di città di cui non si parla mai, quella devota all’Espanyol, molto prima che esplodesse la rivalità tra Barcelona e Real dopo la sconfitta della Repubblica nella Guerra Civile. Ci giocò per undici anni, spezzati da una parentesi di tre al Barcelona, prima di trasferirsi a Madrid. Fu notato durante una partita della sua squadra giovanile proprio contro i giovani del Barça. Ma di colori bianco-blu in città non se ne vedono, neanche nello Stadio Olimpico a pochi passi dal cimitero, dove l’Espanyol giocò dal 1997 al 2009 prima di costruire un nuovo stadio a El Prat, dove si trova anche l’aeroporto. Lo spirito catalanista di Barcelona sembra riflettersi anche nella commemorazione dei defunti. Così, proseguendo ancora dopo il memoriale ai tre anarchici, si giunge a uno spiazzo verde circondato da palme, una suggestiva apertura nella montagna che ricorda l’Eunoé nel Purgatorio di Dante, il fiume che riporta alla memoria le cose buone. Questo spazio, dopo aver percorso centinaia di metri tra bellissimi muri di pietra e lapidi, dona un senso di libertà e serenità. È chiamato Fossar de la Pedrera e fu restaurato per ospitare il mausoleo di Lluìs Companys i Jover, il presidente del Governo della Catalogna arrestato dai nazisti e giustiziato dai fascisti nel 1940. Qui si trovano i memoriali a tutti i caduti della Repubblica Spagnola: anarchici del CNT, generali delle Brigate Internazionali, socialisti e comunisti, oltre agli ebrei che si impegnarono nel fronte antifascista e agli autonomisti catalani.

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Quelli ch’anticamente poetaro
l’età de l’oro e suo stato felice, 
forse in Parnaso esto loco sognaro. 
Qui fu innocente l’umana radice; 
qui primavera sempre e ogne frutto; 
nettare è questo di che ciascun dice

Eppure l’immagine di Zamora, il cui loculo dista ormai poche decine di metri, è ancora lontana. Senza volerlo negli anni la sua storia continuò a intrecciarsi col fascismo. Giocò con la Spagna nella partita inaugurale dello Stadio Renato Dall’Ara di Bologna, voluto dall’allora fascista Arpinati e il cui termine dei lavori era stato celebrato in pompa magna pochi mesi prima alla presenza di Mussolini, il giorno in cui le camice nere trucidarono Anteo Zamboni dopo un fallito attentato al duce. Vinse l’Italia per 2-0. Pochi anni dopo l’insuperabile portiere fu di nuovo in Italia per disputare i Mondiali del 1934. Italia-Spagna finì 1-1 con alcune sue miracolose parate e dovette essere ripetuta. Il giorno successivo Il Divino venne misteriosamente lasciato fuori e l’Italia vinse. Si disse che Mussolini doveva vincere il Mondiale di casa, forse soprattutto doveva battere quella Spagna in procinto di finire preda di un’insurrezione socialista o peggio anarchica. Di certo c’è che tre anni dopo le navi fasciste italiane bombardarono anche la sua Barcelona difesa dalle brigate della Repubblica. Ma allora Zamora era già a Madrid, sull’altro fronte.

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Il grande portiere fu un personaggio famosissimo, conosciuto e idolatrato da tutti. Eppure oggi la ricerca del suo spirito è sfuggente. Perché è lo spirito della metà oscura. Prima di arrivare a lui si incontra ancora un eroe dell’altro club, quello della Catalogna, quello dei giocatori coi capelli curati nei minimi dettagli. È Joan Gamper, fondatore del Barcelona, in onore del quale ogni anno si gioca un prestigioso trofeo. Ma c’è un trofeo anche per Zamora: non a caso è quello che assegna ogni anno il titolo di miglior portiere della Liga. Fu ovviamente lui il primo a vincerlo. Oggi la sua tomba è ben curata, con una certa dignità rispetto ai sepolcri abbandonati di altri defunti celebri. I fiori freschi sono pronti a schiudersi al sole proveniente dal lato del mare che illumina il settore 10 del cimitero di Montjuïc, poco sopra la tomba di Joan Mirò e poco sotto quello che fu il loculo di Sándor Kocsis, riesumato e trasferito in patria tre anni or sono. Dall’altra parte della città, dove si trovava il vecchio stadio dell’Espanyol, una piazza porta il suo nome. Non troppo distante dal Camp Nou, ben coperta dalla sua ingombrante ombra.

Se mi capita di entrare in chiesa, me ne sto a guardare il Cristo, a braccia spalancate, e penso che è là, con quel gesto, a parare i peccati del mondo. Devono arrivargli sul palmo come fucilate. Così, trovandomi in porta durante una partita, mi sembra di essere anch’io sopra un altare e stendo le mani, e mi piace ricordare Cristo quando prendo i palloni” Ricardo Zamora Martinez