La sottile linea bianca

La sottile linea bianca
15 Luglio 2015 Federico Ferrone

Io mi ricordo tutto. È ‘na strunzata che la cocaina ti scassa la memoria, so trent’anni che la tiro e non mi sono dimenticato niente. Io me la ricordo tutta la cocaina che mi sono tirato. Del resto tutti hanno tirato in questi anni di merda, chi è che non l’ha fatto? Soltanto i poveri non hanno pippato, e non sanno quello che si sono persi. 

La vulgata vuole che dopo tre-quattro giorni nel sangue non ne resti traccia. E che non ti aiuti neanche tanto, al massimo qualche manciata di minuti di iperattività. Poi arrivano gli effetti negativi, soprattutto a lungo termine. Così dicono. Una droga ricreativa, una droga per ricchi. Ma neanche questo è sempre vero.

Per rendersene conto basta guardare i primi due casi noti di calciatori italiani con problemi di cocaina, forse i due più tragici in assoluto. È la storia di due semisconosciuti, due giovani promesse che finiscono nel peggiore dei  modi, che proprio peggio non si potrebbe. Michele Rogliani nasce a Venezia nel  1961 e l’etichetta di nuovo Paolo Rossi lo raggiunge a neanche vent’anni, quando gioca nella giovanili del Lanerossi Vicenza. Coca, poi eroina (passaggio raro, almeno sembra, tra i calciatori) e una terrificante morte per asfissia nell’85, dopo essersi addormentato con la sigaretta. L’altro caso è quello Edoardo Bortolotti, giovane stopper del Brescia a inizio anni ’90. Entrato nel giro dell’Under 21 di Cesare Maldini si distrugge un ginocchio in uno scontro con Paci della Lucchese. Al rientro in campo, anzi semplicemente in panchina, alla fine della stagione ’90-’91, risulta positivo all’antidoping. Dopo i falliti tentativi di rilanciarsi nelle categorie inferiori finisce per buttarsi dalla finestra, morendo sul colpo. Una storia quasi esemplare, in negativo, o almeno così è stata raccontata: la promessa che s’infortuna, si deprime e comincia a drogarsi, finendo per togliersi la vita.

La cocaina è la droga latinomericana per eccellenza, e se ad abusarne è un calciatore che viene da quelle parti la riprovazione morale è attenuata, come se laggiù si usasse così. Nessuno quindi in Italia si stupisce troppo quando Pato Aguilera viene arrestato nel 1994 per sfruttamento della prostituzione e cessione gratuita di un grammo di cocaina. Al 1996 risale la condanna definitiva, al 2007 il condono della pena in seguito all’indulto proclamato l’anno precedente e al 2011 un infarto che è sembrato ai più moralisti una tardiva condanna del cielo. Alla fine, comunque, Aguilera non passa neanche un giorno in prigione, perché scappa in Uruguay e si accasa al Peñarol, dove gioca per altri cinque anni ma dove non avrà più due compagni di reparto di razza come i due cavalli pazzi con tendenza all’abuso avuti in Italia: Skuhravy il bevitore al Genoa e Walter Casagrande al Torino, tormentato consumatore di cocaina, eroina e tè ottenuti da estratti di funghi allucinogeni. Fanno più scalpore i casi di Caniggia e Maradona, ma soprattutto per la statura dei due personaggi. “Senza cocaina sarei stato fenomenale”, avrebbe detto una volta Diego, la cui dipendenza è durata quasi un quarto di secolo: iniziata negli anni al Barcellona (un Messi col vizietto della coca addolcirebbe alcuni dei suoi critici?), ne è uscito a metà degli anni 2000.

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Una droga da vincenti, da numeri dieci? Come Adrian Mutu, pescato e licenziato in seguito a un controllo interno voluto dalla stessa dirigenza del Chelsea nel settembre 2004, dopo che qualche mese prima il portiere australiano Mark Bosnich era risultato positivo alla stessa sostanza. L’episodio di Mutu  (che proverà a giustificarsi in maniera goffa dicendo che “era facile sbagliare: ero molto famoso, a Londra andavo dappertutto e mi trattavano da re”) ha dato origine a complessi strascichi legali, con la nota causa di risarcimento tra Chelsea, Livorno, Juve e il calciatore.  Numero dieci era anche Francesco Flachi, grande e mai sbocciata speranza dei tifosi della Fiorentina e poi idolo dei tifosi doriani,  positivo nel 2007 con la Samp appunto e nel 2009 col Brescia. Nel suo caso il giudice sportivo non ha apprezzato il persevarare nell’errore e il suo rientro è previsto (molto in teoria) nel 2022. Più recidivo e più punito di lui c’è solo lo squalificato a vita (caso quasi unico) Jonathan Bachini, naso aquilino e ampie narici quasi a preannunciare il vizio che gli sarebbe costato la carriera.

Un caso più enigmatico è quello di Angelo Pagotto, ex portiere titolare dell’Under 21 (davanti a Gigi Buffon) e trovato positivo alla cocaina dopo un Perugia- Fiorentina del 1999. Contrariamente a i suoi colleghi, Pagotto si è pronunciato sempre innocente e ha scontato per intero la squalifica. Nel 2005 si comincia a parlare di scambio di provette, il portiere appare sempre di più come la vittima innocente di un sistema corrotto. Solo che nel 2007, quando gioca per il Crotone in serie B, viene ribeccato e stavolta non ha niente da eccepire: è reo confesso, cosa che getta alcune ombre sulle sue professioni d’innocenza oltre ad offrire succulenti appigli ai più complottisti (“portiere scomodo”, “capro espiatorio”, “chi meglio di Angelo Pagotto” mormorano ancora molti forum).

Fin qui i campioni, recidivi e innocentisti. Ma la coca è democratica e spopola anche tra i gregari, come dimostrano i destini  incrociati di Fabio Macellari e Moris Carrozzieri, onesti mestieranti difensivi con nomi da pornostar, fisici da portuali e il sacrosanto diritto, devono aver pensato, di godersi alla grande i pochi anni di gloria. Il primo, dopo un’esperienza all’Inter di Lippi, si vede rescindere il contratto col Bologna per uso di sostanze illecite. Inizialmente smentitisce  (“niente superalcolici, solo birre: anche trenta in una serata” ha dichiarato a proposito del periodo bolognese) poi conferma. Il secondo risulta positivo dopo un Palermo-Torino del 2009, il quarto test cui veniva sottoposto in quella stagione. Sfortuna, o forse qualcuno a Palermo aveva più di un sospetto. 

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Poi ci sono quelli che iniziano (o almeno si fanno beccare) solo dopo aver smesso. Come Sebastiano Rossi, l’eterno sottovalutato: da calciatore, perché nonostante il suo ruolo nel Milan dei record ha dovuto sempre sudarsi il posto (persino col succitato Pagotto) e non ha mai giocato in nazionale; ma anche da privato cittadino, dove il suo curriculum di denunce – minaccia grave e continuata, porto d’armi improprie, ingiurie, lesioni, sequestro di persona, aggressione a carabinieri, possesso e spaccio di cocaina – avrebbe meritato maggior attenzione, letteraria e non solo giudiziaria.

Ci sono anche quelli che invece si lasciano tentare o vengono scoperti quando semplicemente credono di avere smesso, come Mark Iuliano, caduto senza troppo onore dopo un’ottima carriera tra Juventus, nazionale e una manciata di altre squadre. Nel 2007-2008 Iuliano risulta positivo alla cocaina dopo un’inutile partita del “suo” Ravenna col Cesena in cui entrambe le squadre erano già retrocesse. Una macchia che arriva a fine carriera e cui si deve, tra le altre cose, il deterioramento del suo rapporto col padre e mentore Alfredo. Da allora Alfredo ha iniziato una sua personale campagna contro l’ex juventino Padovano, che secondo lui avrebbe traviato Mark e spacciato droga ad altri compagni di squadra.

Un caso simile a quello di Iuliano riguarda René Higuita. Nel 2002, ormai lontano dai fasti degli anni ’90, il trentaseienne portiere è positivo all’antidoping dopo la sua partita d’esordio nel modesto Deportivo Pereira. La sua difesa è specchiata: “Se vogliamo parlare di sport sono pulito al 100%. cosa che forse non si può dire della mia vita privata”. Cose personali, non certo un tentativo di falsare la partita. E infatti i giudici sportivi gli danno sei giornate di squalifica, più o meno la punizione che oggi in Europa si darebbe per un brutto fallo da dietro. Nel 2004, quasi quarantenne, René ci ricasca. Ormai è in forza all’Aucas, nel non troppo competitivo campionato dell’Ecuador. Ma anche qui, che senso ha accanirsi? Con uno come René, poi,  inventore della mossa dello “scorpione”  e che già si era fatto sei mesi di carcere per aver agito da mediatore non autorizzato nel corso di un sequestro di persona. Laddove Flachi e Bachini sono costretti all’addio al calcio, Higuita si prende “soli” sei mesi di squalifica dalla federazione equadoriana, severa ma giusta. Sei mesi durante i quali ha il tempo di partecipare ai reality televisivi colombiani La isla de los famosos e La gran apuesta. Il tutto prima di riprendere onorevolmente la carriera in Venezuela coi Guaros de Lara nel 2007, concludendola due anni più tardi dopo le esperienze in Colombia col Leones Fútbol Club e di nuovo il Deportivo Pereira. Che motivo ci sarebbe stato di fargli concludere ignominiosamente la carriera? 

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