Gruppo C: Svezia

Gruppo C: Svezia
3 Febbraio 2016 Gabriele Crescente

Ore 23.30 – Le sponde del lago Vänern sembrano sospese nel tempo. Una tenue nebbia si alza dalle rive, spazzata dal vento del Baltico che arriva fin qui e agita le canne, mentre il sole di mezzanotte allunga le ombre trasformando i prati e le strade in un ambiente marziano. I suoi raggi colpiscono il volto di Tomas Brolin, nascosto dietro a un paio di occhiali da sole. È seduto davanti alla porta della propria casa di campagna, ha in mano un fucile da caccia e tiene d’occhio il giardino. Da qualche settimana, ormai, i lemming stanno scavando le loro buche, rovinando il prato. Non appena ne vede uno, Tomas punta e spara, dilaniando i corpi dei roditori con proiettili troppo grandi per animali troppo piccoli.

Brolin li odia. Un po’ perché sono topi, e a lui i topi fanno schifo. Un po’ perché gli ricordano alcune fasi della sua carriera, soprattutto quelle più difficili, in cui tutti (presidenti, allenatori, giocatori e tifosi) sembravano lemming. Terrorizzati dalla paura. Spinti a seguire quello che fa il proprio vicino. Inclini al suicidio di massa. Ogni volta che ci pensa, a Tomas vengono in mente i baffi di Olle Nordin e il suo sguardo al gol di Medford, mentre l’avventura italiana della Svezia stava lentamente terminando. Il caldo di Genova, l’aria di mare e Olle Nordin: una sensazione spiacevole, come se avesse schiacciato una cimice con la mano, s’impadronisce per un istante di lui, facendolo trasalire.

Non è un caso se a Brolin tornano in mente i fantasmi di Italia ’90: oggi è il 20 giugno 2015, il venticinquennale della partita persa contro il Costa Rica per 2 a 1. Lo stesso punteggio delle altre due partite, giocate contro il Brasile a Torino e contro la Scozia a Genova. Un mese fa Brolin ha mandato gli inviti ai propri compagni di squadra: da tanto non vedeva Thomas Ravelli o Anders Limpar e aveva molta voglia di fare una sauna con loro. Qualche volta, negli ultimi anni, avevano provato a contattarlo: aveva dovuto sempre rinunciare perché impegnato in qualche torneo di Texas. Ma questa data se l’era segnata: il mondiale di Italia ‘90, anche se si era concluso con un fallimento, aveva rappresentato il momento in cui si era formato quel gruppo che nel 1994 avrebbe raggiunto uno dei massimi risultati per il movimento calcistico svedese.

Il giro di telefonate è partito da Brolin, poi Ravelli e Limpar hanno contattato più o meno tutti. Il programma è questo: si troveranno nella casa di Tomas sul lago Vänern alla mezzanotte di oggi e passeranno la notte insieme, ubriacandosi di snaps e divertendosi nel piccolo casinò ricavato nel seminterrato della villa di Brolin.

Tomas sente squittire e, all’improvviso, punta e spara diverse volte: un piccolo lemming salta in aria e, colpito da più proiettili, resta sospeso un istante prima di cadere a terra, in tanti pezzi. “Non entrerete a casa mia: nessun lemming, nessun uomo che assomigli a un lemming può entrare a casa mia”, dice fra sé pensando a Nordin, che su sua esplicita richiesta non è stato invitato. Brolin appoggia il fucile al muro, si alza e si dirige verso il lemming dilaniato dal piombo. Riesce a scorgerne i polmoni e l’intestino, mentre il muso è stato completamente distrutto. Alza la testa: alla sua sinistra la prima macchina imbocca il viale d’ingresso.

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Ore 01.00 – La serata si sta rivelando più piacevole del previsto. Le discussioni sembrano andare oltre le chiacchiere di circostanza tra vecchi colleghi. Tutti hanno chiesto a Tomas della sua nuova attività come giocatore di poker e hanno evitato discorsi sui chili di troppo e su quella brutta storia della multa al ristorante “Undici” (di cui Brolin era proprietario) – alcuni camerieri erano stati pizzicati a vendere alcolici ai minori.

Tomas non ha voluto imporre niente a nessuno. Il cibo e le bevande sono stati sistemati sul buffet e gli invitati sono stati lasciati liberi di giocare o fare la sauna. Non appena ha aperto le porte della sala, Brolin, in puro stile socialdemocratico, ha detto ai suoi ex compagni: “Qui c’è posto per tutti. A ognuno secondo le sue necessità: fate come se foste a casa vostra”. Un attimo dopo, diversi invitati si sono raccolti attorno al tavolo da poker, altri intorno alla roulette. Qualcuno, come Limpar, ha scelto le slot.

Tavolo da poker: Tomas Brolin (attaccante), Thomas Ravelli (portiere), Jonas Thern (centrocampista), Stefan Schwarz (centrocampista)

Brolin, da buon ospite, decide che solo per questa sera farà il dealer al tavolo del Texas. Per lui è una piccola novità: dal 2006, infatti, è diventato professionista di poker sportivo, trovando dopo molto tempo una propria dimensione lavorativa. Dal 1998, anno del suo ritiro, Brolin ha investito nella ristorazione (il ristorante Undici), nel settore immobiliare e in quello degli elettrodomestici (nuovi tipi di boccagli per aspirapolvere). A metà degli anni 2000 ha cominciato a inseguire per il mondo tavoli verdi, regine di quadri e molti soldi. Per lui il Texas è come il calcio, perché bisogna capire in una frazione di secondo cos’è meglio fare. Di se stesso, Brolin dice sempre le stesse cose: “Ero tranquillo in campo, sono tranquillo al tavolo verde. Oggi come allora mi piace avere la possibilità di ragionare, di giocare con calma”.

Thomas Ravelli siede alla sinistra di Brolin. Nel 1990 aveva trentun’anni ed era il giocatore più vecchio dell’intera selezione svedese insieme al difensore Glenn Hysén. Ha difeso la porta della Svezia anche a Usa ’94. Dopo il ritiro, nel 2014, ha partecipato al programma Vem tror du att du är?: insieme a una troupe della televisione svedese Titan, si è recato nel paese di origine del nonno, Mezzana (in Trentino), alla ricerca delle proprie origini solandre.

Davanti a Brolin e alla sua destra siedono Jonas Thern e Stefan Schwarz. L’ex giocatore di Roma e Napoli ora allena in Svezia. L’ex-fiorentino, dopo il ritiro, si è dedicato alla finanza. Ora vive e lavora a Lisbona, dove fa l’agente di mercato.

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Slot machines: Glenn Hysén (difensore), Roland Nilsson (difensore), Anders Limpar (centrocampista), Glenn Strömberg (centrocampista), Johnny Ekström (attaccante)

Le macchine sono piene di euro veri. Anders Limpar muove velocemente le palpebre, cercando di tenere dietro allo scorrere dei limoni, dei numeri sette e delle campanelle. Non riesce a contenersi: infila le monete nella feritoia senza pensarci, finché tra i simboli vede il logo della Cremonese, un pallone e un cazzo. Chiude gli occhi, li riapre e vede un limone, una campanella e un sette. Di nuovo niente. Nel 1989 Limpar era stato acquistato da Luzzara insieme a Gustavo Neffa e Abel Dezotti per alzare il tasso tecnico della Cremonese. Risultato: diciassettesimo posto e retrocessione in serie B. In seguito Anders aveva girato per il vecchio (Inghilterra e Svezia) e il nuovo continente (Stati Uniti), terminando la propria carriera in Svezia. Oggi gestisce un’importante agenzia di scommesse online.

Alle sue spalle, Roland Nilsson lo osserva con commiserazione. Sta aspettando che la macchinetta si liberi per fare le proprie puntate da economo. Si è preparato dieci monete da due euro: finite quelle smetterà di giocare. D’altra parte, in quella Svezia (e nello Sheffield Wednesday), lui coordinava la difesa, ne era il principio d’ordine. Al termine della carriera di calciatore ne ha intrapresa una da allenatore, con meno fortuna: l’ultima esperienza risale al 2011-2012, quando ha guidato il Copenaghen.

Di fianco a loro, Glenn Hysén si ravvia i capelli mentre inserisce con eleganza le monete nella slot. Dopo aver militato anche in Italia, nella Fiorentina, ha chiuso la carriera in Svezia. In seguito si è diviso tra diverse attività: allenatore, commentatore TV, presentatore TV (ha partecipato anche a un reality, Fc Z, in cui quindici persone che non hanno mai giocato a calcio vengono preparate a disputare una partita contro dei professionisti) e attivista per i diritti lgbt (è arrivato a parlare al Gay Pride di Stoccolma nel 2007. Suo figlio Anton, difensore del Torslanda IK, ha fatto coming out nel 2011).

Glenn Strömberg sta parlando con Johnny Ekström. In realtà le slot non lo interessano più di tanto: è venuto qui per rivedere i vecchi amici. Gira distrattamente la manopola e intanto ricorda con Ekström le serate italiane, in particolare quelle di Genova: il caldo, il mare, la cimma alla genovese e lo iodio. Quella città, così diversa dalla sua Bergamo, lo aveva colpito profondamente. Lì era nato il suo amore per l’Italia. Aveva deciso di rimanerci anche dopo il ritiro, mettendo in piedi un commercio di prodotti enogastronomici per il mercato svedese. Ekström, invece, c’era tornato solo per andare a trovare i parenti della moglie lucchese. Ora fa il procuratore e parla solo di suo figlio, che, fino a qualche anno fa, giocava nelle giovanili del Göteborg.

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Roulette: Peter Larsson (difensore), Roger Ljung (difensore), Leif Engqvist (centrocampista), Mats Gren (centrocampista), Joakim Nillson (centrocampista), Mats Magnusson (attaccante)

La pallina della roulette salta danzando tra il rosso e il nero. A differenza di quelle usate nei casinò, questa ha piccoli pentagoni disegnati sulla superficie: insomma, è un piccolo pallone regalato a Brolin da Anton Ensfandiari, uno dei più importanti giocatori di Texas al mondo.

Peter Larsson, che ha ancora il corpo e la faccia da modello, osserva la ruota che gira, pensando che il vero problema è la presenza dello zero. Se non ci fosse, la scommessa sarebbe molto semplice: cinquanta per cento netto di probabilità. Ne discute alacremente con Ljung ed Engqvist, per i quali le strutture della scommessa sono molto più semplici: Ljung punta alternativamente sul rosso e sul nero, mentre Engqvist, reciprocamente, lascia banconote da cinquanta euro sul nero e sul rosso.

Tra una puntata e l’altra, i giocatori parlano di quello che fanno oggi: Larsson, dopo aver tentato la carriera da allenatore (la sua ultima esperienza è stata quella all’Aik nel 2002), è felicemente in pensione; Ljung è diventato uno dei più importanti procuratori svedesi (la sua agenzia, la Roger Ljung Promotion Ab, ha curato gli interessi di Fredrik Ljungberg, Marcus Ällbeck e Teddy Lucic); Engqvist si è riaffacciato al calcio professionistico a Lund, diventando head coach del Lunds Bk.

All’altra roulette, appoggiati sui gomiti, Gren, Magnusson e Petterson puntano pochi spiccioli. Non si stanno divertendo molto: sembra che mal sopportino l’evidente eterogeneità del gruppo degli invitati. Forse perché loro stessi non hanno molto da dire: Gren, dopo una lunga permanenza al Grasshopper come giocatore (dal 1985 al 2000), ha cominciato una carriera da allenatore in Liechtenstein, Svizzera e Svezia; Magnusson può vantare al massimo l’omonimia con un professore di ingegneria gestionale; Nilsson, dopo una brevissima parentesi in Spagna, al Gijon (1990-1993), è tornato nella sua città natale, Landskrona, dove ha chiuso la carriera. Da allora è rimasto lontano dai riflettori.

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Sauna: Sven Andersson (portiere), Jan Erikkson (difensore), Niklas Nyhlen (difensore), Ulrik Jansson (centrocampista), Stefan Petterson (attaccante)

Nella sauna si sono raccolti quei giocatori che, in Italia, hanno trovato pochissimo spazio. In mezzo agli ex titolari si sentono degli imbucati: molto meglio nascondersi tra i vapori, spogliarsi e fissarsi negli occhi, fingendo di non essere nudi. Poche parole, un malcelato fastidio nei confronti di chiunque faccia domande troppo personali. Sven Andersson, dopo otto anni passati all’Helsingborg (dal 1993 al 2001), nel 2006 è diventato preparatore dei portieri della squadra rossoblu; Jan Eriksson, dopo aver giocato nell’Mls per i Tampa Bay Mutiny nel 1998-1999, è tornato in Svezia; Nyhlen è diventato allenatore; Petterson, nel 2006, ha allenato una squadra di seconda divisione, l’Ifk Österåker, ritirandosi in silenzio alla fine di quell’anno; Jansson vuole solo essere dimenticato dal calcio.

Ore 02.30 – La notte è finalmente calata. Nella sala da gioco e nella sauna le puntate e i bagni di vapore proseguono in silenzio, come se la festa avesse già toccato il suo zenit acustico e si avviasse verso il nadir della malinconia. Lo scivolamento verso l’autocommiserazione è interrotto da una serie di colpi di pistola sparati all’esterno della villa. Brolin solleva gli occhiali da sole e posa il mazzo di carte. Impassibile, si alza dalla sedia ed esce seguito da tutti gli astanti.

Nella luce argentea della luna scintille rossastre balenano da un’ombra. Gli scoppi illuminano a intermittenza l’espressione folle di Lars Eriksson, il dodicesimo della selezione svedese. Dopo essere stato coinvolto nel disastro tecnico e finanziario dell’Hammarby, intorno al 2010 Lars ha svolto il ruolo di preparatore dei portieri della nazionale. Poi si è ritirato a vita privata.

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Non appena vede Brolin, Eriksson gli urla in tono di sfida: “E Klabbe? Te ne sei dimenticato? Dov’è Klabbe?”. Klabbe era il diminutivo di Klas Ingesson. All’inizio degli anni novanta lui, Eriksson, Brolin e Limpar erano considerati i “fantastici quattro” del calcio svedese. Nel 2014, quando è morto Klas, Tomas e Lars si sono precipitati a Ödeshög, al funerale. Limpar, invece, non è riuscito a liberarsi da un appuntamento di lavoro: il rimpianto è stato così forte che Anders, qualche mese dopo, ha sentito la necessità di dedicare a Klabbe la vittoria del reality “The Greatest Adventure”, esibendo in questo modo la lenta espiazione di un tradimento mai avvenuto.

“Dov’è Klabbe?”, chiede di nuovo Eriksson. Dopo un urlo roco e inumano, si porta la pistola alla tempia e preme il grilletto. Il cane della pistola batte a vuoto sul percussore, producendo un innocuo schiocco. Lars, impassibile, fa girare il tamburo, riporta la pistola alla tempia e preme di nuovo il grilletto. Ancora una volta non succede niente. Porge la pistola a Brolin, dicendogli sommessamente: “Quante probabilità c’erano? Uno su quattro? Quante probabilità? Lui o noi? Quando me l’ha detto ho pensato: ‘Meglio a te che a me’. Tu che cazzo hai pensato?”.

Brolin non ha voglia di rispondere. Gli sembra che tutta questa faccenda non abbia senso: il volto sfigurato di Lars, la luce della luna, Sven Andersson nudo che guarda tutti come se lui avesse sempre saputo che sarebbe finita così. Eppure è spinto da una strana forza ad accettare la sfida che Eriksson gli porge. Guardandolo negli occhi, senza dire una parola, prende la pistola, dà un colpo al tamburo, alza il cane e spara. La pallottola gli fa esplodere parte del cranio, disintegrandogli contemporaneamente le orbite. Parte del cervello finisce addosso a Limpar, che, immediatamente, si china a raccogliere la pistola. Tomas cade a terra: il corpo pesante, a contatto col terreno, produce un rumore sordo. A poca distanza dai capelli intrisi di sangue e materia grigia, i resti putrescenti di un lemming vengono lentamente inghiottiti da un nugolo di vermi.