E vennero le Barbados

E vennero le Barbados
8 Aprile 2016 Damiano Cason

Dwight percorse con passo stanco una stradina nella Parrocchia della Chiesa di Cristo. Dirigendosi verso il grande mercato ortofrutticolo non poté fare a meno di notare, come ogni giorno, quanto fosse una scelta pericolosa fabbricare quelle grandi piscine a sfioro a pochi metri dall’Oceano. Sarebbe bastata una mareggiata, o il lento innalzarsi delle acque, per allagare completamente la zona per anni. E altri anni sarebbero serviti per liberarla di nuovo dalle acque. Quegli ingegneri scozzesi avrebbero dovuto andarci piano prima di lanciarsi in simili progetti in zone che non conoscevano affatto. Pensò che prima o poi avrebbe dovuto confidare i propri timori a qualcuno vicino al consiglio amministrativo di Bridgetown. Ma era lo stesso pensiero di ogni giorno. Quel giorno, nel tardo pomeriggio, lasciò il Careenage per comprare un po’ di verdura fresca e portarla a casa per la cena. Dwight viveva solo senza più grandi sogni. Si era scelto ormai molto tempo prima un’attività non molto redditizia, un peschereccio di modeste dimensioni. Avrebbe dovuto fare come tutti gli altri e dedicarsi al rum o al turismo. Ma dal rum aveva preferito stare lontano vista la sua propensione alla violenza dopo un paio di bicchieri di troppo, mentre il turismo era in mano a multinazionali europee o americane e lavorare come semplice dipendente sarebbe stata un’umiliazione eccessiva. Dwight aveva origini africane e faceva fatica a considerare come semplici colleghi quei gambe rosse che secoli prima arrivavano come prigionieri di Cromwell e rifiutavano di fare lo stesso lavoro dei suoi avi.

12321266_10154043059921738_1238419660011372375_n

Ma gli anni passavano rapidi e la baia era sempre più inquinata da yacht e grandi navi da crociera. Mai avuto un grande senso ecologico, Dwight. Ma pesce decente se ne vedeva sempre meno. La barca era ridotta a ferraglia, sarebbe stata da cambiare. La casa cadeva a pezzi a poche centinaia di metri dall’esclusivo resort che, grazie ai fondi governativi, avrebbe ospitato nei tre giorni successivi la nazionale di calcio di Grenada. Ma non c’era di che lamentarsi. Dwight aveva studiato e sapeva bene che non bisogna chiedere troppo da se stessi, né aspettarsi che l’imprenditore di successo con la camicia bianca stirata conduca una vita tanto migliore. Dwight era sì un disperato, ma nessuno si sarebbe mai aspettato quello che si sarebbe letto sui giornali il giorno successivo.

Nei pressi del grande Baobab di Queen’s Park, Dwight si arrestò all’improvviso e nella sua mente deve essere successo qualcosa di paragonabile a una grande piscina che, venuta a contatto con una marea appena più intensa che ha annullato i pochi metri di distanza tra l’acqua salata e il cloro utilizzato per difendere i turisti dalle infezioni tropicali, esonda senza lasciare più traccia dei lettini, delle creme solari e delle riviste patinate. Dwight si chinò per raccogliere una pietra, percorse lentamente dieci passi all’indietro con aria assente, e infine si scagliò violentemente la pietra sulla testa fino ad aprirsi il cranio. Pochi passanti assisterono alla scena con orrore e sconcerto. Nessuno dei presenti lo conosceva personalmente, e quasi nessuno l’aveva mai visto in giro più di qualche volta, o molto più probabilmente non l’aveva mai notato. Una morte anonima. Nessun parente sull’isola, nessuno che potesse spiegarne il perché. Un loculo tra i tanti ad affollare il cimitero di Westbury.

12802727_10154043059926738_3880053560322704089_n

Il giorno successivo, il 27 Gennaio 1994, si giocava Barbados – Grenada, partita valida per le qualificazioni alla Coppa dei Caraibi. Per qualificarsi, Barbados avrebbe dovuto vincere con almeno due gol di scarto. Nei minuti finali della partita, sul risultato di 2-1 per i padroni di casa, accadde qualcosa di simile alla scena del giorno precedente. I giocatori di Barbados cominciarono inspiegabilmente a dirigersi verso la propria porta per segnare un autogol che portò il punteggio in parità e costrinse a giocare i supplementari. Gli avversari, negli attimi concitati che seguirono, con il pubblico incredulo sugli spalti, cominciarono a questo punto un tiro al bersaglio verso entrambe le porte, protette ambedue dai giocatori rivali. Un tifoso si gettò nel vuoto dalla balaustra della curva. Qualcuno in tribuna, in un barlume di lucidità, cercò di spiegare quello che stava accadendo come la conseguenza di un assurdo regolamento. Si sparse la voce che un golden gol segnato ai supplementari avrebbe potuto valere doppio. Molti altri, invece, pensarono che Dio stesse punendo l’isola per aver permesso agli speculatori edilizi di sventrare quella parte di creato in nome del profitto. Si appellarono al Cristo Risorto per porre fine alla terribile piaga.

Altri spettatori nel frattempo, di fronte allo sconcertante spettacolo, cercarono di togliersi la vita. A nulla servì l’intervento delle Forze di Difesa, che altro non erano che i giocatori del BDF (Barbados Defence Force) la squadra di calcio campione in carica del campionato nazionale. Il caos si diffuse come un contagio senza che nessuno potesse riuscire a dare una spiegazione valida a quello che stava succedendo. Quel vociferare ininterrotto proveniente dagli spalti, mischiato ormai alle urla di terrore, alle sirene della polizia e al rumore del cielo che prometteva l’arrivo di un uragano, sembrava presagire nient’altro che l’Apocalisse. Eppure nessun dio stava agendo in quel teatro. I giocatori continuarono a giocare apparentemente uno sport sconosciuto che non aveva più nulla a che vedere col calcio. Non vi era in campo nessun Odisseo che, pur di portare alle estreme conseguenze la sua sete di conoscenza, si potesse far incatenare all’albero della nave e potesse coprire con tappi di cera gli organi di senso dei suoi compagni. Nessuno che fosse in grado di attraversare quella sciagura preservando la propria vita.

1930419_10154043059846738_1747792275282882776_n

Poi, all’improvviso, come se quei fanatici che avevano chiesto l’intervento di Dio avessero avuto ragione, tutto si placò. Un triplice fischio squarciò i colori di quella scena orgiastica e riportò improvvisamente l’ordine. Le ambulanze intervennero, sia pur troppo tardi, per soccorrere il suicida a bordo campo. L’arbitro, della cui esistenza tutti si erano ormai scordati in preda al delirio anarchico dell’eccezionalità di quel momento, raccolse a centrocampo tutti i giocatori. E parlò, come il pastore anglicano che appena qualche ora prima aveva celebrato il funerale solitario di Dwight. E in effetti l’arbitro era davvero un pastore anglicano. I giocatori, con la testa china, ascoltarono le sue parole: “Dio vi ha concesso una seconda chance. Cercando di uccidere il pianeta, avete cercato voi stessi il suicidio. Vi siete scordati che esistono delle regole che vi verrà imposto di rispettare, se non siete in grado di farlo con il vostro libero arbitrio. Ma Dio è misericordioso e, se tornerete a condurre una vita retta, vi concederà un dono speciale”. A quel punto cominciarono i supplementari. Mentre in campo Barbados segnava il gol che ne valeva inspiegabilmente due, vincendo così la partita per 4-2 e qualificandosi alla Coppa dei Caraibi, un altro uomo si precipitò correndo all’impazzata verso la balaustra e si gettò nel vuoto.