Calcio e scatologia

Calcio e scatologia
23 Settembre 2015 diego cavallotti

Le punizioni di Roberto Carlos, la “maledetta” di Pirlo, le rovesciate di Boninsegna, la “mano de dios” di Maradona. E ancora: il gol di Van Basten in Olanda-Urss del 1988, le accelerazioni di Ronaldo, la tecnica di Pelè. Quando pensiamo al calcio, tendiamo a giustificarci rimarcando la bellezza del gesto, la perfetta armonia di un pensiero elaborato dal corpo. In questo modo, tuttavia, pieghiamo il nostro desiderio a forme ideologiche estetizzanti, secondo cui la rilevanza del gesto è spesso legata a una concordanza canonica di corpo e Mondo – il pallone Mondo, ovviamente. Ma che dire di tutto ciò che “eccede verso il basso” il canone? Che dire, per esempio, di un corpo abituato all’eccellenza atletica che rivendica la propria involontaria comicità attraverso il bisogno fisiologico? Merda e piscio ricordano a noi stessi, attraverso la loro necessaria impellenza, che non c’è perfezione tecnica senza inquietudine. E che il corpo ricorda ai campioni la sua natura mortale anche nei momenti meno adatti, quando magari è in gioco una Coppa Italia o un passaggio del turno in Coppa Uefa.  

Valderrama è sempre stato lì, a osservare divertito gli improvvisi bisogni dei giocatori e a mapparne con attenzione i caratteri e le implicazioni pratiche. Sigaretta in bocca e respiro corto, ha elaborato una prima cartografia scatologica del calcio, ben sapendo che si tratta solo di una bozza, o meglio, di un invito alla riflessione.

Gianluca Vialli, Torino-Sampdoria, Finale di Coppa Italia 1987/1988

La fine dei tempi regolamentari sancisce la grande rimonta del Torino. I granata riescono a recuperare due gol di scarto grazie alle autoreti di Paganin su cross di Polster e di Vierchowod su tiro di Comi. Si va ai supplementari. La tensione si fa sentire. Vialli si avvicina timidamente ad Agnolin e sussurra: “Devo fare una corsa in bagno”. L’arbitro veneto risponde in maniera secca: “Hai quattro minuti”. Mentre l’attaccante scompare nel tunnel, l’inviato Rai lo cerca disperatamente per una veloce intervista da bordo campo. Mancini, spaventato, chiede a Salsano e a Mannini dove sia Luca, il suo Luca. Vialli ricompare dopo tre minuti e mezzo, passando direttamente dalla tribuna per fare più in fretta. Dopo aver scambiato con il giocatore un cenno d’intesa, Agnolin chiede “Fatta tutta? Sì? E allora possiamo ricominciare”.

Gary Lineker, Irlanda-Inghilterra, Coppa del Mondo di Italia ‘90

L’erba del Sant’Elia profuma di sale e sabbia. Lo scirocco porta dal mare una calda brezza mediterranea, facendo sventolare, oltre alle sagome arlecchinesche di Ciao, le bandiere di Irlanda e Inghilterra. È l’11 giugno 1990, partita d’esordio del Girone F. Finirà 1-1 con gol di Lineker per gli inglesi e di Sheedy per gli irlandesi. La partita, però, non verrà ricordata né per la sagacia tattica di Robson, né per la tenacia degli uomini di Charlton. Per tutti, diventerà la partita in cui Lineker si cagò addosso. Secondo tempo: l’attaccante inglese subisce un tackle e comincia a rotolare per il campo. I compagni di squadra lo circondano. “Tutto bene Gary?” “Sì, tutto ok, solo un problema: I’ve shit myself”, risponde trascinando il culo per tutta la trequarti. Lineker cerca di non scomporsi. Raccoglie un po’ di erba bagnata – a Cagliari era piovuto, in quel maledetto lunedì di calcio – e se la infila nei calzoncini. Più di vent’anni dopo, l’attaccante confessò di avere trascorso i peggiori minuti della propria carriera cercando goffamente di pulirsi le mutande. Nota positiva: non ebbe mai più marcature così larghe da parte dei difensori.

Alen Boksic, Borussia Dortmund-Lazio, quarti di finale di Coppa UEFA 1994/1995

A Dortmund i tifosi laziali festeggiano il gemellaggio con quelli del Borussia a suon di birre e wurstel. La Lazio, forte dell’1-0 all’Olimpico, arriva in Germania immaginandosi già in finale. I tedeschi, tuttavia, appaiono molto più compatti e motivati: al 10’ Chapuisat firma su rigore il vantaggio del Borussia, pareggiando i conti con la partita d’andata e mettendo pressione agli uomini di Zeman, che non possono contare sul sinistro di Signori in attacco. Boksic e Casiraghi si muovono nervosamente sulla trequarti, senza riuscire a concludere nulla. Un quarto d’ora dopo l’inizio del secondo tempo, l’attaccante croato scappa verso gli spogliatoi e lascia la squadra in dieci. Ricompare sette minuti dopo, come se non fosse accaduto nulla. L’inviato del Corriere della Sera, Franco Melli, scrisse: “E misteriosamente esce Boksic (bisogno fisiologico?) dal 60’ al 67’, permettendo il ripristino della superiorità tedesca almeno nel possesso palla. Per cinquemila tifosi al seguito è il prolungamento d’un supplizio, con l’ex Riedle “cascatore” reclamante accanto all’incolpevole Bergodi; e Marchegiani in volo per togliere dall’angolo la stangata Kree o abbrancare un rasoterra ancora di Kalle”. Alla fine della partita, Boksic venne indicato da Melli come il peggiore in campo. 

Filippo Inzaghi, Palermo-Milano, quinta giornata del campionato di Serie A 2007/2008

La serata è calda. Inzaghi è a bordo campo. L’aria sa di iodio: gli ricorda il mare, le correnti d’acqua, cascate. Molte cascate. Si piega per fare stretching e un rivolo di urina gli accarezza la coscia, uscendo dai pantaloncini. L’atto viene ripreso da un videoamatore, che, circa un anno dopo, spedisce la propria Mini-DV a Striscia La Notizia. Il commento è, come al solito, infantile. Non riesce a cogliere il nucleo problematico nascosto dalle immagini sgranate: Pippo Inzaghi, ormai a fine carriera, osserva da bordo campo la rimonta del Palermo in una giornata di inizio autunno. L’incontinenza fisica diviene così il sintomo della propria impotenza, l’emblema del proprio tramonto. Parafrasando Kundera, potremmo dire che il piscio, come la merda, è una questione metafisica.

Massimo Busacca, Al Gharafa-Al Khor, prima giornata della Qatar Stars League 2009/2010

I ticinesi sono spesso descritti come i canadesi del Nord Italia. Svagati e lenti di comprendonio, parlano un italiano con forti inflessioni lombardo-occidentali: per esempio, non dicono “ho bisogno di qualcosa”, ma “ho bisogno qualcosa”. Busacca, bellinzonese, sfugge a questa descrizione solo per un particolare: a volte non riesce a controllare i propri nervi. Così, il 21 settembre 2009, durante la partita Baden-Young Boys, valida per il campionato elvetico, reagisce agli insulti della tifoseria di casa mostrando il dito medio. Viene squalificato dalla Federazione Svizzera per tre turni. Da subito cominciano a circolare strane voci su un fatto avvenuto dieci giorni prima, quando Busacca è stato chiamato ad arbitrare una partita in Qatar. Secondo fonti non confermate Busacca, durante Al Gharaffa-Al Khor, avrebbe orinato in campo. Un filmato prova a fornire indizi della sua colpevolezza: le immagini, tuttavia, mostrano solo alcuni movimenti goffi all’altezza dell’area di rigore durante la battuta di un calcio d’angolo. Nelle settimane successive, Busacca si difende in tutti i modi, minacciando di denunciare quei siti che intendano pubblicare la notizia. Intervistato dall’Ansa, l’arbitro dichiara: “Non è vero nulla, sono molto dispiaciuto, questa è una storia che risale a una decina di giorni fa ed è stata chiusa dalla federazione locale. Ed è molto sospetto che tutto questo venga fuori dopo la vicenda del dito alzato, per la quale mi sono già scusato”.

Mario Götze, Malaga-Borussia Dortmund, quarti di finale di Champions League 2012/2013

Un bambino che si vergogna di mostrare i propri genitali in pubblico durante un partitella tra amici, molto probabilmente ricorrerà a un noto espediente. Cercherà di resistere finché un suo compagno non scaraventerà la palla dietro ai cespugli, si offrirà di andare a raccoglierla e lì, al riparo, farà ciò che deve fare. Allo stesso modo, durante il riscaldamento per Malaga-Borussia Dortmund, Mario Götze, all’epoca ventenne e non ancora campione del mondo, attese l’uscita del pallone, saltò un cartellone pubblicitario e, facendo finta di allacciarsi le scarpe, estrasse il pene dai pantaloncini per liberarsi. I media spagnoli reagirono stizziti, interpretando quel gesto come l’ennesimo affronto da parte dell’euro-imperialismo tedesco. Molti commentatori, cercando conferme a un diffuso luogo comune, dissero che i tedeschi, quando escono dalla Germania, pensano di poter fare quello che vogliono. I loro ragionamenti, tuttavia, presero ben presto l’illogica strada dello sciovinismo e l’unica conferma che riuscirono a ottenere fu questa: la scatologia non è solo una questione metafisica; è, prima di tutto, una questione politica.