Atti relativi alla morte di Paul Gascoigne

Atti relativi alla morte di Paul Gascoigne
12 Novembre 2015 scat

Mumbai, 20 dicembre 2014.

Dispaccio interno all’attenzione console Kumar Iyer, C/32 G Bandra Kurla Complex.

Verso le ore dieci circa di stamani il facchino del Grand Hotel Alister Malhotra, recatosi nella camera 224 occupata dal suddito britannico Paul Gascoigne, nato a Dunston, Gateshead, il 27-6-1967, constatava che il predetto giaceva cadavere supino coricato su un materasso collocato a terra. Il Gascoigne, a quanto si è appreso, era ammalato al cervello e pigliava dei medicinali per stordirsi. Sono stati ritrovati sul tavolinetto due tubetti di “Soneryl”, mentre nei cassetti dell’armadio è stata ritrovata una grande quantità di droghe medicinali di vario genere. Ritiensi che lo stesso avendo esagerato nelle dosi dei farmaci, si sia cagionato la morte. Il Gascoigne trovasi piantonato in attesa di nuove istruzioni.

Queste poche righe, dettate evidentemente dalla fretta e dalla preoccupazione e firmate da un oscuro burocrate di nome Jaya Lai, aprono un fascicolo conservato nell’archivio del consolato britannico a Mumbai, anticipando quelle, più pazienti e precise, scritte dal medico del Grand Hotel, dottor Kishan Chowdhury, con ogni probabilità nello stesso luogo e subito dopo le prime.

Trattasi di uomo normotipo, masse muscolari e pannicolo adiposo ben sviluppato, semi-rigidità cadaverica; colorito della pelle visibilmente pallido. Macchie ipostatiche estese al dorso, agli arti inferiori. Nessuna lesione esterna si nota, ad eccezione di abrasioni epidermoidali all’emitorace sinistro di data non recentissima e ad eccezione di una soluzione di continuo al terzo inferiore dell’avambraccio sinistro, interessante per due centimetri circa i comuni tegumenti e aventi i caratteri di una ferita lacero-contusa, di data piuttosto recente. Tale ferita è protetta da una fasciatura di garza e bambagia, cosparsa di pomata. Il suddetto Gascoigne ritengo sia deceduto per morte naturale, probabilmente causata da una intossicazione da narcotici e sonniferi rinvenuti in grande quantità nella stanza, per cui ritengo inutile l’autopsia. La morte rimonta a circa 5 o 7 ore fa. Escludo che la morte sia dipendente dalle escoriazioni riscontrate all’emoteca sinistro, e dalla lesione, riscontrata al terzo inferiore dell’avambraccio sinistro. Escludo altresì che la morte sia dipendente da un fatto violento. (A questo processo verbale è allegata una nota spese per “maneggio cadavere Gascoigne Paul”, di 15mila rupie)

I due documenti, di registro ben diverso ma di paragonabile imperizia stilistica, costituiscono le prime due testimonianze della morte di Paul Gascoigne, già calciatore, già personaggio pubblico e tutt’ora considerato un genio a diverse latitudini. Oggi, a quasi un anno di distanza, la fine dell’uomo Gascoigne sembra essere ormai archiviata dalla memoria collettiva senza troppi strascichi, come una brutta notizia che sorprende ma fino a un certo punto, e lo dimostra il fatto che venga dimenticata in fretta. Il tempo, si sa, erode rapidamente lo stupore di queste morti, fino a quando tutto, inevitabilmente, si disperde in una mistura di spettacolo, distorsioni e ricordi a scopo di lucro.

Eppure oggi, con l’avvicinarsi dell’anniversario della morte di Gascoigne, ci sembra importante recuperare quelle prime parole, quegli atti, per ricordare che non tutto è stato chiarito. Forse per pigrizia, quasi sicuramente per calcolo.

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Nel fascicolo inviato al console – con quale mezzo e passando per quali mani non ci è dato sapere –  alle parole del burocrate e del medico fanno seguito le testimonianze di due facchini e quella del direttore del Grand Hotel. Da notare che queste dichiarazioni, per ragioni apparentemente inspiegabili, sono state raccolte e trascritte non dagli agenti di polizia ma dal burocrate Jaya Lai. Dall’esame dei documenti, per altro, risulta evidente che il ritardo della polizia nel presentarsi sul posto è conseguenza diretta del ritardo con cui il direttore dell’albergo ha avvertito le autorità competenti.

Alister Malhotra, facchino, anni 18, originario di Fort Kochi: “Da circa un mese servivo il signor Gascoigne, il quale faceva vita comune con una signora che occupava la stanza attigua numero 226. Ritengo che tra il signor Gascoigne e la signora corressero ottimi rapporti, dato che mai ho inteso questioni. Nella stanza del signor Gascoigne notavo sempre dei flaconcini di medicinali ma sconosco l’uso che ne faceva. Nel cestino trovavo spesso i flaconcini vuoti”.

Brijesh Rajagopalan, anni 28, capo facchino, originario di Chennai: “Da circa un mese servivo il signor Gascoigne che faceva vita comune con una signora che occupa tuttavia la stanza attigua numero 226. Io spesso servivo loro il pranzo e la colazione in camera; il pranzo lo consumavano assieme. Alla sera però mangiava solo la signora, dato che il signor Gascoigne consumava solo un pasto. Ritengo che tra i due corresse piena armonia, dato che mai ebbi a notare litigi e questioni. Avevo notato che nella stanza del signor Gascoigne vi erano sempre molti flaconi di medicinali e sconosco l’uso che ne facesse”.

Leopold Walton, anni 42, direttore del Grand Hotel, originario di Brighton: “Circa quaranta giorni orsono prese alloggio nell’albergo che io dirigo il signor Paul Gascoigne accompagnato dalla signora Elisabetta Cragnotti. Detto signor Gascoigne appariva sofferente e fin dal primo giorno rimase in camera anche per consumare i pasti. Dopo alcuni giorni la signora Cragnotti è partita alla volta dell’Europa per ritirare i bagagli, dicendo che il signor Gascoigne aveva intenzione di fermarsi a lungo a Mumbai perché aveva trovato di suo gradimento il clima nostro. Il giorno dopo la partenza della signora il personale di servizio venne a riferirmi che il signor Gascoigne, privo di sensi, giaceva accanto al letto. Ciò avvenne circa un mese fa. Feci chiamare il dottor Chowdhury, sanitario dell’albergo, il quale apprestò le cure del caso. Dopo alcuni giorni fece ritorno a Mumbai la signora Cragnotti che trovò il signor Gascoigne discretamente rimesso. Dopo alquanti giorni il personale di servizio mi avvertì che il signor Gascoigne si era ferito, stando nel gabinetto da bagno. Anche questa seconda volta fu chiamato il dottor Chowdhury. Stamattina, infine, fui avvertito che il signor Gascoigne giaceva privo di sensi nella sua stanza, disteso su di un materasso posto per terra. Il professor Chowdhury, che trovavasi in albergo, constatò il decesso. Il signor Gascoigne non aveva fatto depositi in alberghi. La signora Cragnotti invece, che provvedeva a pagare i conti, aveva depositato 500mila rupie, di cui ha ritirato 350mila rupie lasciando il resto a disposizione per i funerali e possibili spese”.

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Con le dichiarazioni del direttore del Grand Hotel si chiude il piccolo fascicolo “espresso” inviato da Jaya Lai al console britannico Kumar Iyer. A rileggerli oggi, con quelle firme ordinate in calce a ogni dichiarazione e tutte le pagine siglate con precisione dal Lai (presumiamo) sempre in alto a sinistra, questi atti improvvisati suscitano però più di un sospetto. Le dichiarazioni che contengono, apparentemente inutili, quasi lapalissiane nella constatazione ripetuta dei fatti, compongono in realtà un quadro precisissimo. La scrittura e la trascrizione conservano errori, brutture stilistiche, volgarismi vari, ma al contempo i concetti e i sottintesi sono cristallini, granitici. Ogni dettaglio – la concordia tra Gascoigne ed Elisabetta Cragnotti, la spossatezza fisica, l’inappetenza, i precedenti malori, la generosità della signora, persino l’aspetto del cadavere – sembra avere, se non lo stesso scopo, quantomeno lo stesso verso.

Non sappiamo con certezza quanto tempo Jaya Lai abbia trascorso nella stanza numero 224, ma volendo prendere per buoni i riferimenti temporali contenuti nel fascicolo e confrontarli con i verbali di polizia, possiamo ipotizzare che tutto si sia svolto nel giro di due, tre ore massimo. Dopodiché Lai ha lasciato il Grand Hotel e Walton ha allertato da polizia. Quello che invece possiamo affermare con assoluta cognizione di causa è che nelle prime ore dopo la morte di Gascoigne tutti i dispacci d’agenzia, gli articoli e i servizi televisivi contenevano alcuni passaggi ripresi direttamente dal fascicolo che abbiamo appena analizzato. Le firme e le attribuzioni (quando presenti) erano diverse, ma le parole si ripetevano identiche e nello stesso ordine. Come se la notizia su cui riferire e da cui prendere spunto non fosse la morte dell’uomo, ma il fascicolo stesso. Come se il fascicolo fosse un muro fresco di malta, eretto per proteggere il mondo esterno dalla verità sulla morte dell’uomo. O viceversa.

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Il muro, in ogni caso, ha retto soltanto per poche ore. Il resto è storia nota e caotica, una storia che è impossibile da mettere in fila e che ci costringe – i lettori ci perdoneranno – a riportare i fatti come in un elenco scomposto: i primi giornalisti arrivati dal Regno Unito; il minuto di silenzio osservato durante la finale della Indian Super League in programma proprio a Mumbai e proprio quella sera; le foto del cadavere di Gascoigne rese pubbliche grazie alla disonestà di un portantino; le prime, prudenti pronunce della parola “omicidio”; le insinuazioni su un presunto coinvolgimento dell’autista di Gascoigne (di cui nel fascicolo non c’è alcuna traccia), poi su una presunta relazione tra l’autista e la Cragnotti, poi su una presunta relazione tra l’autista e Gascoigne; la ricerca dell’autista e il rinvenimento della sua auto bruciata nelle campagne del Gujarat, con all’interno un cadavere impossibile da identificare; le registrazioni del colloquio tra Gascoigne e l’eroe del cricket e presidente dei Kerala Blasters Sachin Tendulkar, avvenuto un mese prima in gran segreto a Goa, con Tendulkar che offriva a Gascoigne un incarico da allenatore e Gascoigne che rispondeva in modo sconnesso, con un tono spaventato; l’arresto di Elisabetta Cragnotti; il rilascio di Elisabetta Cragnotti; l’attesa di un processo che non è mai cominciato. 

Oggi, alla luce di questo turbine di scoperte, sospetti e verità smentite e poi riconfermate, ci sorprende l’ordine di quel fascicolo breve e senza correzioni, oggi che della morte di Paul Gascoigne sappiamo molte cose con buona approssimazione e quasi niente con certezza (Gascoigne è stato probabilmente assassinato, Elisabetta Cragnotti e l’autista sono probabilmente coinvolti ma probabilmente non sono i né i mandanti né gli esecutori, Gascoigne probabilmente era incline al suicidio e non è stato difficile provocarne la morte). Proprio per questo motivo, davanti a quel primo fascicolo preparato in fretta e furia dal burocrate Jaya Lai, le parole ci sembrano fuori posto, artificiali, più sospette dei sospetti che naturalmente sono emersi in seguito, come se nascondessero un segreto più grande che ancora non siamo riusciti nemmeno a intuire.

Ma forse questi punti oscuri che vengono fuori dalle carte, dai ricordi, apparivano nell’immediatezza dei fatti del tutto probabili e spiegabili. I fatti della vita sempre diventano più complessi ed oscuri, più ambigui ed equivoci – cioè quali veramente sono – quando li si scrive, e cioè quando da “atti relativi” diventano per così dire “atti assoluti”. Comunque, nell’uno o nell’altro caso, un mistero c’è.